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Silent – Modern Hate

2021 - Three One G
post punk

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Tracklist

1. End
2. A New Slave
3. It Follows
4. Hands On The Wall
5. Death Is Not An Option
6. Erased
7. Trust No God
8. The Witness
9. Empty Spaces
10. No Heaven


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“’Modern Hate‘ rappresenta tutte le stronzate razziste e suprematiste riaffiorate in una nuova forma di rabbia e odio non solo in America ma in tutto il mondo”. Questo il manifesto che accompagna il sophomore album dei Silent. Un impegno necessario in un mondo frustrato dalla “rinascita” dell’orrore destrista che ha ripreso forza in questi ultimi anni di piattume e grigiore, tra QAnon, capi di Stato senza freni e quant’altro. Sempre che di rinascita si possa parlare, dato che quell’ombra sembra accompagnare il mondo moderno da sempre, dalla sua “nascita”.

L’urgenza della band messicana è evidente, palpabile e si fa suono, un suono denso come una pozza di petrolio ribollente in cui si rimane invischiati. Ma non è un senso di prigionia quello che si percepisce nello srotolarsi del disco, anzi, semmai il claustrofobico intreccio elettrico si fa chiave per abbattere le porte, in un afflato liberatorio che ci sgancia dalla contemporaneità. La voce stentorea di Jung Sing è un tuono tra le nubi nere ammassatesi nel cielo, un ibrido Cave-Coleman che dà luogo ad un nuovo essere, potente e rabbioso nel suo essere intrinsecamente poetico. Al resto pensano Robo Ibarra, Rocio Chavez e Alex Lara, che con i loro strumenti costruiscono, mattone su mattone, un’architettura imponente e spaventosa, e scalandola quel cielo è raggiungibile in men che non si dica.

Post-punk? Sì, grazie ma non solo. La materia oscura si concentra in punti d’intensità per poi deflagrare in mille direzioni e in altrettante schegge rumorose si innalza e demolisce. Ci sono antri senza luce, freddi, in cui lentezza e tremori lisergici fanno da padrone assolute, come A New Slave ed End, i passaggi obnubilanti di New Heaven in un labirinto di specchi che salta in aria in uno scoppio sciamanico di furia iconoclasta e il pachiderma melodico che è Hands On The Wall. Ma, come in un crescendo di rabbia che si scontra con l’odio del mondo arrivano le rasoiate: Death Is Not An Option è punk ferino, Trust No God raffica di fastidio malcelato scagliato a velocità supersonica in faccia al fascismo delle déita umanizzate e che bordate raggelanti Empty Spaces e The Witness, tra accelerazioni e stomp riducono tutto in poltiglia.

Datemi retta, “Modern Hate” non va lasciato nell’ombra, portatelo in piena luce perché è il risultato di cinque anni di evoluzione e che ancora danno spazio ad ulteriori crescite.

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