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Back In Time

“Sticky Fingers”: i Rolling Stones sono rovinati e Jagger abbassa la zip

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Sono passati 50 anni esatti da quella copertina di Andy Warhol che simboleggiava la nuova libertà creativa dei Rolling Stones. Dopo aver scoperto di che pasta era veramente fatto il loro manager Allen Klein, le pietre rotolanti decisero di mettersi in proprio fondando la loro etichetta. Klein ne uscì con i diritti su tutta la produzione della band fino a quel punto. Il gruppo ne uscì rovinato, a un passo dalla bancarotta, ma con una improvvisa completa libertà creativa. Mick Jagger prese in mano le sorti del gruppo che, in quel delicato momento, anche per la tragica morte di Jones e la crescente tossicodipendenza di Richards, rischiava di estinguersi. Il cantante commissionò all’artista grafico John Pasche il famoso logo della lingua che compare per la prima volta sul retro della copertina e che è poi rimasto con la band fino a oggi. E diede 15.000 sterline a Andy Warhol per disegnare la copertina del disco. Il genio della pop art gli propose la foto di un paio di jeans con chiusura lampo, fronte e retro, dentro la quale emergeva un’altra foto di una patta in mutandine di cotone. A Mick piacque ma chiese che la chiusura lampo sulla copertina fosse vera e si potesse aprire, svelando la patta. Un po’ come la famosa banana di The Velvet Underground and Nico che si poteva sbucciare, sempre a opera di Warhol. La costosissima copertina non venne tanto apprezzata all’epoca, infatti i fan si lamentarono che la chiusura lampo rischiava di rovinare il vinile. Dopo la prima stampa, si decise che nelle successive la zip si sarebbe aperta solo in parte e poi scomparve del tutto, ne rimase solo la foto. Oggi, quelle prime stampe con zip a piena apertura vanno via per poche centinaia di euro su eBay, a meno che non siate fessi come me e vogliate sostenere il vostro locale negozio indipendente di vinili, con relativo sovrapprezzo. Poco importa, la copertina fa bella mostra di se nel mio salotto, mentre il mio “locale negozio ecc. ecc.” è fallito, ahimè.

Non sono di quelli che si innamorarono degli Stones, “Sex, Drugs and Rock’n roll” da giovane. A quei tempi non c’ero e se c’ero dormivo con il mio biberon (a cui qualcuno aggiungeva qualche goccio di vino, va detto, perché temo abbia un significato in questa storia). Sono di quelli che sono arrivati agli Stones da adulto, quando avevo i soldi per l’acquisto di cui sopra. Ugualmente, “Sticky Fingers” mi provoca ripetuti arrizzamenti dei peli delle braccia nel corso delle sue dieci tracce e 46 minuti. E pur essendo un membro a vita del partito “Keith Richards for President”, devo ammettere che questa meraviglia non sarebbe stata possibile senza un Mick Jagger che in quel periodo stava carico a pallettoni. Dopo la morte di Brian Jones, Mick Taylor ne aveva preso il posto portando una bella dose di entusiasmo musicale e di perizia chitarristica. Sopperendo così in parte a un Keith Richards “a rota”. In quel periodo, Mick archiviava la relazione con Marianne Faithfull, intraprendeva e concludeva quella adulterina con Marsha Hunt, tramite la quale diventava padre per la prima volta, e conosceva la sua prima moglie, Bianca Perez, che sposerà un mese dopo l’uscita del disco. In tutto questo, c’era anche stata la tragedia di Altamont, un concerto terminato con un omicidio sotto il palco e sotto gli occhi della band, più altre tre morti per varie cause.

La tragica situazione finanziaria in cui i Rolling Stones si trovavano, senza liquidi e indebitati con il fisco, sembrerebbe aver aguzzato la creatività e l’ingegno di Jagger. Avere la propria etichetta significava completa libertà artistica e completa padronanza del prodotto finale. Interessante che la “Rolling Stones Records” venne affidata a Marshall Chess, figlio di quel Leonard Chess, senza il quale non ci sarebbero stati i dischi di Muddy Waters, Howlin Wolf e tutti gli altri, senza i quali niente Stones, niente British blues e insomma, il mondo poteva anche finire lì e nessuno se ne sarebbe accorto.

Sticky Fingers” è un disco in cui il front-man fa la parte del leone. “Io sono il maestro dei riff. L’unico che mi sono perso e che invece ha fatto Mick è Brown Sugar e mi tolgo il cappello. Lì, mi ha battuto. Io gli ho dato una sistemata, ma era suo, parole e musica” – racconta Keith nella sua biografia. “Dio solo sa di cosa parlo nella canzone” – racconta Mick – “È una tale accozzaglia. Tutti gli argomenti sporchi messi insieme”. Lo zucchero di canna, Brown Sugar, può riferirsi all’eroina, alla merce degli schiavisti dei tempi andati, alle ragazze di colore. “La nave di schiavi della costa d’oro diretti ai campi di cotone / Venduti al mercato lì a New Orleans / Il vecchio schiavista sfregiato sa che le cose gli vanno bene / Lo puoi sentire frustare le donne intorno a mezzanotte”: va giù pesante la prima strofa della canzone. E poi il ritornello: “Brown Sugar / Come fai a essere così buono? / Proprio come ci si aspetta da una ragazzina”. 50 anni dopo, difficile immaginare una cosa meno politicamente corretta. Il primo titolo di lavoro della canzone era “Black Pussy”: “Fica nera” e possiamo perfettamente immaginare Mick, preso in quel periodo tra la Hunt e la Perez, cantare questa roba in studio. “Non scriverei mai una canzone così oggi” – disse Jagger negli anni ‘90 – “Probabilmente mi censurerei. Direi, oddio, non posso, devo fermarmi. Non posso scrivere roba così sudicia”. L’auto-censura può essere già sentita nelle varie versioni live dove i testi, da un certo momento in poi, vennero cambiati per essere più digeribili. Fatto sta che, quando Keith attacca quel riff di tre accordi (Sol – Do – Fa, elementare Watson e capisci che qui il chitarrista è fin troppo modesto: solo lui poteva trasformare questa roba in oro) e poi entrano gli altri con un groove funky, anche se sei madre lingua inglese, tu sei troppo occupato a battere le mani e muovere le anche per preoccuparti del politicamente corretto. Per altro, la traccia si fa notare per l’assolo di sax da paura: Bobby Keys inventa qui il sassofono rock e mette subito in chiaro di essere uno dei protagonisti del disco.

Come dicevo, Mick era carico a pallettoni in quel periodo e siamo solo all’inizio. “Sticky Fingers” è anche l’album per cui la band usò la prima volta il “Rolling Stones Mobile Studios” (già prestato per “Led Zeppelin III”), sistemato in quel momento a casa del cantante. Sarà la tossicodipendenza, o sarà qualcos’altro, fatto sta che ogni tanto Keith non si presentava alle prove e ci sono due canzoni sull’album dove il chitarrista non appare proprio. Sway e’ la prima di queste e il risultato finale è dovuto alla collaborazione tra Jagger e Mick Taylor, il poi si lamenterà di non aver avuto i crediti sulla canzone. La traccia non è la più indimenticabile del disco, ma va ricordata per i due assoli di chitarra, di cui uno slide, e per una stupenda interpretazione di Charlie Watts che qui ottiene, con la complicità dell’ingegnere Glyn Johns, uno dei più bei suoni di sempre dalla sua Gretsch.

Wild Horses è probabilmente l’unica traccia dell’album che rappresenta una classica collaborazione dei Glimmer Twins. “Questo è un esempio tipico di io e Mick che lavoriamo insieme. Io avevo il riff e il ritornello, Mick si è dato da fare con le strofe” – racconta Keith Richards. All’inizio la canzone era una ninna-nanna per suo figlio Marlon, separarsi dal quale per andare in tour diventava sempre più difficile per il chitarrista. Tanto è vero che qualche anno dopo iniziò a portarselo dietro e, scusate l’invidia, ma che bella educazione ha avuto questo bambino. Mick la trasformò in una canzone sulla fine di una relazione. Una canzone che “si è quasi scritta da sola”, la definisce Keith, che imbraccia per l’occasione una 12 corde, avendo a mente un Blues di Blind Willie Mc Tell. Una ballad da brivido, che Jagger interpreta con una forte carica emotiva.

Can’t You Hear Me Knocking è una lunga jam che parte da una idea del “maestro dei riff”, su cui Watts e Wyman imprimono una solida base funky. L’assolo di Taylor, proseguito da Bobby Keys è uno di quei momenti da peli dritti che dicevo. Complessivamente, un’altra traccia durante la quale è difficile restare seduti. Per You Gotta Move, Keith sfodera una chitarra resofonica. Si tratta di un classico gospel blues che assunse la sua forma definitiva nel 1965 con la versione di Missisippi Fred Mc Dowell. Gli Stones ne fanno una cover fedele, impreziosita dagli interventi alla slide di Taylor e da Bill Wyman che qui lascia il basso per il pianoforte. I 5 ragazzi inglesi dimostrano, non per la prima volta, una incredibile capacità di cogliere l’atmosfera e lo spirito del blues del Missisippi, come se fossero figli di quelle terre.

Con Bitch torna il funky e il “politicamente scorretto”, anche se Jagger non ci sta in questo caso a essere condannato dalle femministe per misoginia e spiega che il titolo non si riferisce a nessuna donna. Bensì, è l’amore in sé a essere una “bitch”: la canzone nacque dopo la sua separazione dalla Faithfull ed effettivamente non se la prende con lei. La traccia nacque da una jam tra Jagger, Watts e Keys. Questi ultimi due, in particolare, offrono una prestazione stellare, insieme a Wyman, creando un groove irresistibile. Ma cosi’ come accadde a Brown Sugar, il pezzo sarebbe decollato solo quando Keith vi aggiunse la sua magia: “Stavamo facendo Bitch, Keith era in ritardo e la canzone non veniva molto bene” – ha ricordato l’ingegnere del suono, Andy Johns – “Vado in cucina e trovo Keith seduto per terra che mangia una tazza di cereali e mi dice all’improvviso ‘Oi Andy, dammi la chitarra!’. La imbraccia e da una scarica al tempo della canzone trovandogli la vibrazione giusta.” Una canzone aggressiva, elettrica, hard e funky al contempo, con Keith questa volta che fa il solista con i suoi tipici lick alla Chuck Berry e una sezione fiati, rimpolpata da Jim Price allatromba.

I Got the Blues sono i Glimmer Twins che fanno il verso all’Otis Redding di “I’ve Been Loving You Too Long”. Con l’aiuto di Billy Preston all’organo e la sezione fiati della traccia precedente, questa potrebbe tranquillamente essere una canzone del catalogo Stax Records, l’etichetta appunto di Redding, Wilson Pickett, Sam & Dave. Sister Morphine è un’altra canzone di Jagger, questa volta con il contributo della Faithfull. “Marianne ha avuto una gran parte in Sister Morphine. Conosco lo stile di Mick che all’epoca viveva con Marianne e so, dallo stile della canzone che ci sono diverse parti che sono di lei”, ha scritto Richards sempre nella sua autobiografia, ancora una volta contraddicendo il front-man che ha sempre sminuito la parte della sua ex nella scrittura del pezzo. Fatto sta che la canzone era già uscita due anni prima come un singolo della Faithfull la quale, con una battaglia legale otterrà poi i diritti sulla canzone. La versione che appare su “Sticky Fingers fu registrata nel marzo 1969, prima dell’arrivo di Taylor nel gruppo. Poco male perché alla slide appare qui addirittura Ry Cooder. Il suono che tira fuori dalla sua Fender, tra il riverbero e il bottleneck, ti ghiaccia il sangue nelle vene, per non parlare del pianoforte suonato da Jack Nitzsche e della brillante prestazione di Bill Wyman e Charlie Watts. Il risultato finale è una ballad completamente spettrale su un uomo che, sul letto dell’ospedale dopo un incidente, implora la sua dose di morfina, sapendo che non gli rimane molto da vivere.

Dead Flowers è un country dissociato tra la giocosità della western ballad (puoi vedere Jagger indossare stivali da cowboy mentre la canta) e il testo oscuro: “Mentre tu ti accomoderai nella tua Cadillac rosata / Io starò nel mio seminterrato tra una siringa e un cucchiaio e un’altra ragazza per scacciare il mio dolore”. “L’avevo suonata centinaia di volte a casa, prima di portarla in studio”, racconta Jagger, che riferisce come, da ragazzi, i Glimmer Twins avevano passato ore ad ascoltare Johnny Cash e gli Everly Brothers.

Moonlight Mile è l’altra traccia dove Richards si è “scordato” di apparire. Come il chitarrista ammette, la canzone è completamente di Jagger, desideroso di esplorare nuovi territori musicali. Si sente nell’intro di chitarra, che suona lui stesso e a cui imprime un sapore orientale. Mick Taylor si prende la responsabilità di impreziosire il pezzo con la sua Gibson, alternando armonie, accordi e parti solistiche. “E’ stato assolutamente fantastico in quella session. ‘Moonlight Mile’ è per me Mick Taylor che da il suo meglio” – racconta Watts, il quale nemmeno lui si risparmia qui, portando il ritmo prevalentemente sui Tom e accarezzando i piatti con le mazzuole, interpretando così al meglio l’idea originale di Jagger. Il tutto raggiunge l’apice in un’apoteosi di archi, arrangiati da Paul Buckmaster. Lo stesso Keiff avrà parole di apprezzamento per il lavoro fatto senza di lui. Il testo è uno dei più poetici scritti mai da Jagger, “su un blocchetto che portavo con me durante il tour dell’estate 1970. Mi stavo stancando della strada e avevo nostalgia di casa.”

Anni fa a New York, ero seduto ad un evento di lavoro, di quelli in giacca e cravatta e, all’improvviso mi siede accanto Bianca Perez Jagger, sposata da Mick un mese dopo l’uscita di “Sticky Fingers, oggi un’attivista per i diritti umani. Non le ho detto una parola, non mi sono inginocchiato di fronte a lei implorandola di raccontarmi “tutto”, non so bene cosa, ma comunque “tutto” di Mick, Keith e di questa roba folle che erano i Rolling Stones in quegli anni. Oggi sarei un critico rock di fama internazionale ove mi avesse risposto alla fondamentale domanda se è vero, per esempio, quel che Keith scrive sul fatto che Mick ha il pene piccolo ma i testicoli giganti, affermazione peraltro smentita dalla Faithfull e sulla cui accuratezza la copertina del disco non da’ indizi: contrariamente a quanto si pensa, la patta in questione non apparteneva a Jagger, ma ad un modello regolarmente pagato da Warhol. Non potevo fare queste domande, ero in giacca e cravatta e non ero me stesso e non si fa, insomma. Allora, ho solo chiuso gli occhi e cercato di assorbire la sua presenza per cercare di capire se portava con se quelle vibrazioni di cui Mick cantava in Moonlight Mile, per lei o per un’altra, chissà: “Il suono degli estranei non mi comunica più nulla / Solo un altro matto, matto giorno sulla strada / Vivo solo per potermi sdraiare al tuo fianco”.

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