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Interviste

Di una foresta non vedi che l’ombra: intervista ai Radura

In occasione dell’uscita di “Effetto della veduta d’insieme” (qui la nostra recensione) nuovo album dei Radura, abbiamo incontrato la band milanese per saperne di più sulla genesi del nuovo lavoro, frutto di una coproduzione tra Clever Eagle Records, Desperate Infant Records, Dingleberry Records, Dischi Decenti, Non ti seguo Records, General Soreness, Pundonor Records, Sad React Records, Voice Of The Unheard Records.

Vorrei poter dire che “Non c’è bisogno di presentazioni” ma non è così peregrino pensare che qualcuno non vi conosca. Raccontateci in poche parole la vostra storia, come vi siete conosciuti, se avete suonato in altri progetti, cos’altro fate nella vostra vita e come mai abbracciare il verbo dello screamo negli anni 10. 

I Radura sono Luca, Mario e Andrea, altrimenti detti lu, ietto e bax. Come leggerete nell’ultima risposta, siamo tre persone che un posto al mondo non l’hanno ancora trovato, quindi con tutta probabilità siamo come voi.
Lu sta dedicandosi esclusivamente alla musica in questi ultimi mesi, è il nostro poeta maledetto. Ha finalmente completato un disco che si portava dietro da anni, sotto il nome di Conche Bianche, che se le stelle son propizie in autunno vedrà la luce. Dal 2017 al 2019 ha accompagnato gli Øjne per i concerti di “Prima Che Tutto Bruci” in giro per l’Europa e l’Italia e, sempre in quel periodo, ha tirato su quel gruppo di scoppiati che prende il nome di Nenè Azzurra, dove fa roba più felice e scanzonata. Ietto è un tecnico del suono e tuttora fa parte degli Øjne, é il ragazzo con la testa sulle spalle del gruppo. Ha lavorato con tanti artisti e band nostrane underground e dopo qualche anno ha finalmente trovato uno studio, che tutti assieme usiamo come nuova casa Radura. Non vediamo l’ora di portarlo avanti al meglio e vederlo crescere assieme alle band che lo legheranno alla loro storia. Registrazioni, live session e altre belle idee attendono di diventare realtà. Bax è un orso solitario e un batterista nato, scrittore in ombra di grandi hit come Quando Urlai Amore Nel Cuore Del Mondo e Coda, sta creando un videogioco e inizierà a breve gli studi filosofici. Come abbiamo scritto nel Manifesto/La Nostra Storia abbiamo iniziato urlando perché non c’è modo più semplice per dire qualcosa, per liberare i polmoni. Vediamo lo screamo, così come il punk, più come un’attitudine che come un genere musicale e auspichiamo che la sua energia possa sconfinare e contaminare altre realtà che solo apparentemente possono sembrare lontane. Un po’ come un mare in burrasca che grazie al vento riesce a bagnare lidi lontani.

Nella vostra storia sono ravvisabili rapporti di stima e amicizia con gruppi come Øjne o tributi a gruppi come i Batièn. A quali gruppi – italiani e non – maggiormente vi ispirate?

Che tempismo! Abbiamo da qualche giorno pubblicato una playlist sulla nostra pagina spotify “Ispirazioni/Inspirations” dove ovviamente non mancano né Øjne né Batièn. Di entrambi siamo stati prima fan, poi amici e infine compagni di strada. Il valore di una scena come quella underground italiana sta nella capacità di essere un luogo che intreccia le storie personali ed abbatte le distanze tra artisti e ascoltatori. In questa scena la parola ispirazione scivola spesso verso la parola collaborazione, e questo è motivo di rinnovamento ed apertura. I Batièn ci hanno passato il loro cappio e noi continuiamo a portarlo e condividerlo con voi. Kar, il loro batterista, è stato il primo ad aver creduto in noi come etichetta, e con la sua nascente Dischi Decenti ci ha aiutato nel lontano 2017 a stampare le cento copie de “La Fine Degli Uomini Faro”. 
Più lunga e complessa è la storia che ha portato Gian, voce degli Øjne, a cantare in Tutto Il Tempo Che Ho Passato A Non Vedere. Vita e arte sono inscindibili, così non possiamo dividere l’affetto amicale che proviamo verso di lui dalla stima che abbiamo del suo essere artista e musicista. Lo stesso vale per Giuseppe, voce dei Chivàla, che sentite nello sconfinato crescendo della canzone poco sopra menzionata. Uscendo dalla scena underground, tra le realtà italiane che ci hanno affascinato e plasmato maggiormente i Verdena e i Massimo Volume, mentre Agent Fresco, Toe e Brontide se volgiamo lo sguardo oltralpe. Sarebbe davvero impossibile esaurire la domanda senza creare un enorme fiume di parole perciò vi consigliamo vivamente di ascoltare la playlist “Ispirazioni/Inspirations” per lasciar parlare la musica.

La pandemia come si situa temporalmente rispetto alla scrittura dei brani del disco? La chiusura, il timore di una contingenza inedita per l’umanità, la quotidianità che si sfibra e viene meno hanno esercitato un’influenza secondo voi sulla stesura dei brani?

I primi bozzetti sonori risalgono ad almeno due anni prima l’avvento della pandemia. È il caso di Araucaria, che mantiene l’accordatura radura originale senza capotasto, e di Se Questa È La Nostra Festa che invece è nata come canzone acustica di Conche Bianche, ed ha poi mantenuto solo alcune vestigia di quel suo passato. L’ultima canzone scritta è La Luce Che Copre Gli Angoli, che abbiamo creato completamente in studio proprio qualche giorno prima del cambio epocale che tutti stiamo ancora oggi vivendo. Dunque la parte animale del disco, ovvero la musica nuda e cruda, appartiene ancora a quel mondo aperto e caotico che conoscevamo.
Diverso è stato il destino dei testi, che sono stati scritti ed elaborati durante quel tempo sospeso e dilato proprio del lockdown. A differenza dei precedenti, questi testi non sono relazionali, non c’è un noi, non c’è un reale dialogo. Rileggendoli paiono quasi dei monologhi solipsistici. Eppure paradossalmente riescono a raccontare un sentimento collettivo, di molti. Sono forse i testi più universali che abbiamo scritto.

Io nei testi dei Radura ci trovo tante cose riconducibili a diverse situazioni della mia vita. Scrivete a un livello di astrazione concettuale notevole cercando sempre gli elementi verbali più suggestivi. Se doveste provare in poche parole, in modo più terreno, a dire di cosa parlano i vostri testi come provereste a spiegarli?

Se te li spiegassimo sarebbe come ricondurre un origami al suo foglio originario e non ti affascinerebbero più, probabilmente non ti parlerebbero più. Per questo ci piace scrivere per immagini, e lasciare che ognuno possa viverle nel proprio modo personale. Ma sicuramente una delle chiavi di volta è questa: ognuno di noi quando scrive non fa nulla di più che raccontare ciò che intimamente vive. Non parliamo di mondi che non ci appartengono, perché non riusciremmo a raccontarli con la stessa intensità di qualcosa che invece viviamo nel profondo, nella realtà dei nostri giorni. L’astrazione di cui tu parli è poi ciò che smussa gli angoli di un racconto solo personale, che nel suo nucleo potremmo dire incomunicabile, e lo rende la condivisibile, comunicabile. Ogni parola è un universo e ogni universo è personale.

In “Effetto Della Veduta d’Insieme” ciò che salta alle orecchie sono i tentativi di ricerca sonora, incorporando elementi più classici e non così convenzionali nel vostro genere musicale. Quella di metter in mezzo violini, percussioni e chitarre acustiche è stata un’esigenza di maturità, cose già pensate in fase di stesura dei brani o decisione assunte dopo durante la fase di registrazione?

Abbiamo sempre stimato le realtà musicali che nel tempo hanno avuto il coraggio di evolversi e prendere strade più rischiose. Lo stupore, assieme alla commozione, è forse ciò che la musica può regalarci maggiormente. Non intendiamo l’impressionare, quanto più il meravigliare con qualcosa di inatteso ma che può anche far sorridere. Un po’ come Mattarella che ascolta il finale di Samba aka Riflessi. Ecco tutti quei meme video che ci avete mandato ci hanno confermato che in musica rischiare può essere davvero divertente. Forse è vero questo, un bravo musicista sa ascoltare ciò che la canzone chiede ed avere il coraggio di perseguire di volta in volta una strada che si armonizzi alla canzone stessa.

Confrontandomi anche con altre persone si sente che il disco è molto più curato dal punto di vista produttivo non solo rispetto agli ep precedenti ma anche rispetto ad altri dischi della stessa corrente musicale. Jeremy Bolm ci disse che dopo aver visto lavorare Ross Robinson ebbe una sorta di epifania, come se i brani una volta registrati fossero qualcosa di diverso rispetto a come quando sono stati concepiti. Avete avuto l’impressione che i brani, una volta registrati, fossero qualcosa di diverso da come elaborati in saletta?

Ascoltare la versione finale di una canzone è come ascoltarla per la prima volta. In questo forse risiede la differenza netta tra una canzone che vive solo nei momenti in cui viene suonata in sala prove, e una canzone che esiste autonomamente e vive la sua propria storia: nel suo essere finalmente altro rispetto al suo creatore. Ricordiamo ancora la prima volta che gli studenti della Emit Feltrinelli ci fecero sentire le registrazioni del nostro primo dischetto, il “Radura EP“, uscito nel 2016. Rimani semplicemente a bocca aperta e ti gasi un botto. È successa praticamente la stessa cosa con questo disco, anche se in maniera forse meno lineare dato che le registrazioni le abbiamo fatte interamente noi: Mario da buon tecnico del suono ha gestito tutta questa prima fase, assumendo parallelamente al ruolo di musicista anche quello di tecnico di registrazione. Il materiale che abbiamo ottenuto così facendo lo abbiamo sudato il doppio e abbiamo rischiato di perderci e ossessionarci oltremodo nel processo, ma abbiamo ottenuto una distillazione totalmente pura di quello che desideravamo. Eravamo cottissimi, storditi e saturi. Ci siamo affidati poi alle orecchie di Paso per missaggio e master finale (Riccardo Pasini, Studio 73) che da Ravenna ha vestito il disco di un suono tanto potente quanto cristallino. Quando abbiamo ascoltato le prime versioni che ci ha mandato siamo letteralmente volati giù dalla sedia. Paso è tanto gentile quanto capace, e ci ha stesi. Lì è stato come ascoltare il disco per la prima volta. Non lo potremo mai ringraziare abbastanza.

Ciò che tocca direttamente tutte le band a partire da quelle emergenti è la dimensione del live che a seguito dell’emergenza sanitaria è venuta meno. Cosa avete fatto nell’arco di quest’anno e avete già dei piani su come e quando (e magari dove) portare in giro il disco?

Un secondo che ci viene da piangere o ridere istericamente, non lo sappiamo nemmeno noi. Fino ad ora ci siamo dedicati a tutti gli aspetti che precedono i concerti, quindi abbiamo messo anima e corpo in questo e non abbiamo avuto nemmeno il tempo reale per pensare ai concerti. Dalla distribuzione digitale a quella fisica dei vinili, dalla comunicazione e gestione dei social all’immaginare e ideare nuove vie per accorciare la distanza sociale che impera oggi giorno. Speriamo che chi sta aspettando avrà ancora pazienza, il giorno in cui ripartiremo live è lì davanti a noi, ma non sappiamo né quando avverrà né come. I dischi stanno finendo, ci manca una manciata di copie e andremo in sold-out. Com’è strano tutto ciò, non nascondiamo che felicità e paura si mischiano assieme in questi giorni. Ma useremo questo tempo per reimparare per bene il disco e non molleremo un cazzo. Arriverà il giorno in cui passeremo dalla vostra città, è una promessa.

Come si pone un gruppo giovane come voi sulle proteste che coinvolgono i lavoratori del mondo dello spettacolo? Fino a che punto vi sentite toccati e come valutate il problema?

Non è facile rispondere come gruppo a questa domanda. Da un lato il nostro progetto sta crescendo sempre più, ponendoci di fronte all’eventualità che possa un giorno diventare il nostro mestiere. Dall’altro siamo ancora lontani anni luce da quel momento e dobbiamo trovare tutti un modo per sostentarci, pagare l’affitto e vivere. Mario per la sua professione è forse la persona più direttamente partecipe della situazione per i lavoratori del mondo dello spettacolo. Luca ha da qualche mese lasciato il lavoro per investire tutte le energie ed il tempo che ha nella musica, che sembra assurdo di questi tempi, ed anzi lo è. Andrea sta riprendendo gli studi e nei ritagli di tempo lavora al suo videogioco. Siamo tutti e tre degli ingenui e forse degli idealisti, continuiamo a perseguire i nostri sogni e il nostro posto nel mondo non l’abbiamo trovato ancora. Eppure i Radura sono un punto fermo da anni per noi, un luogo che sta diventando sempre più abitato. Vedremo dove ci porterà. In quanto musicisti non possiamo che essere completamente solidali alle proteste dei lavoratori del mondo dello spettacolo. Ma il problema tocca ognuno di noi, o almeno ognuno di noi per il quale la musica vuol dire qualcosa. Un mondo senza musica è semplicemente inconcepibile.

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