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Glasvegas – Godspeed

2021 - Go Wow
post-punk / indie

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Tracklist

1.Parked Car (Exterior)
2.Dive
3.Keep Me a Space
4.Shake the Cage (Für Theo)
5.Cupids Dark Disco
6.Parked Car (Interior)
7.My Body Is a Glasshouse (A Thousand Stones Ago)
8.In My Mirror
9.Dying to Live
10.Stay Lit
11.Godspeed


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Come per tante di quella generazione di band, quella del revival indie-new wave di metà anni zero, ai Glasvegas non è andata decisamente come sembrava dovesse andare. Con l’omonimo esordio del 2008, la band scozzese, sulla scia del successo planetario dei The Killers, forse i più affini al loro sound, sembrava in procinto di conquistare davvero tutto sfoderando vendite di tutto rispetto e posizioni vertiginose nelle classifiche di mezzo mondo. Meno presuntuosi, più sensibili e decadenti di Brandon Flowers e soci però, i Glasvegas dopo la sbornia del debutto hanno visto progressivamente assottigliarsi la propria platea di riferimento, fino quasi ad azzerarsi con l’uscita del terzo “Later… When The TV Turns To Static” (2013), clamorosamente snobbato da critica e pubblico.

I nostri sembravano dunque essere scomparsi definitivamente dalla faccia della terra. Invece, dopo 7 anni di un silenzio su cui nessuno sembrava giustamente farsi domande, i Glasvegas riappaiono con un nuovo album intitolato “Godspeed” e una formazione rinnovata (la batterista Jonna Löfgren ha abbandonato la band, ora ridottasi a trio composto dai cugini James (voce) e Rab Allan (chitarra) con il bassista Paul Donoghue). Vuoi per la mancanza assoluta di pressioni, vuoi perché tornare in scena dopo aver perso sostanzialmente tutto vuol dire necessariamente avere qualcosa di importante da dire, il sound dei Glasvegas risulta essere solido e accattivante come un tempo, per giunta con una nuova vena eighties e post-punk che ne rimodella i contorni.

La propensione per melodie da singalong istantaneo, la bellissima voce di James Allan e il pathos con cui caratterizza ogni singola parola sono ancora gli elementi fondamentali dei brani dei Glasvegas, ma a dare un pizzico di insospettabile freschezza in più sono le atmosfere a tratti plumbee e claustrofobiche, certamente più cupe che in passato. È come se il mood negativo dei nostri giorni avesse impregnato di disillusione il caratteristico romanticismo dei 3 scozzesi, rivestendolo con una scorza dura di rabbia sopita.

Non mancano certo le ballate che hanno fatto la fortuna dei Glasvegas fin dagli esordi, su tutte Keep Me A Space e la toccante My Body Is Glasshoue (A Thousand Stones Ago), ma a colpire sono soprattutto quei momenti più tormentati e sperimentali che proprio non ci aspettavamo: il post-punk epico di Dying To Live e Dive, l’elettronica ipnotica di Shake The Cage (Für Theo), gli umori gotici di Cupid’s Dark Disco e lo statuario gospel della title-track lasciano il segno senza scoprire il fianco. Solo sul finire, con In My Mirror e Stay Lit, i Glasvegas si accartocciano con poca pura su se stessi, riproponendo quelle formule dream-pop e shoegaze poco ispirate che costarono loro la sparizione dai radar dello showbiz.

Non solo nostalgia dunque, anzi, a determinare la bontà di “Godspeed” è soprattutto lo spirito di rivalsa di una band che rialza la voce in maniera forte e inequivocabile.

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