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Radura – Effetto della veduta d’insieme

2021 - Clever Eagle Records / Desperate Infant Records / Dingleberry Records / Dischi Decenti / Non ti seguo Records / General Soreness / Pundonor Records / Sad React Records / Voice Of The Unheard Records
screamo / post-hc

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Tracklist

1. La Luce Che Copre Gli Angoli
2. Se Questa è La Nostra Festa
3. Monumento
4. Rintocchi
5. Parigi
6. Tutto Il Tempo Che Ho Passato a Non Vedere
7. Riflessi
8. Araucaria
9. Costellazione || Pareidolia 

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In virtù del principio di polisemia del testo qualsiasi complesso tessuto di elementi coesi e coerenti per definizione non ha un’interpretazione univoca. Tuttavia quest’ultima non è mai arbitraria per quanto un testo possa significare cose diverse per autore e fruitore. Il punto è evitare la cosiddetta lettura aberrante. Sul punto, Umberto eco usava la metafora della passeggiata nel bosco per riferirsi all’uso idiosincratico dei testi da parte di chi legge o – in questo caso – ascolta. Io e alcuni colleghi recensori a volte pecchiamo di tale condotta “aberrante” nell’atto di descrivere un disco, strumentalizzandone il contenuto e piegandole alle nostre esigenze di scrittura o alla nostra volontà. 

Ma a questo giro no. Preferisco non confrontarmi direttamente con la parte lirica di questo disco. Mi rifiuto di mettere in primo piano una mia lettura come se volessi imporla al lettore, perché è sacrosanto che chi desidera confrontarsi con i brani di questo album abbia la mente spoglia e il diritto di trovarci quello che vuole. Perché questo è il caso in cui c’è tanta carne al fuoco.

Non vago senza coordinate: una passeggiata in questa Radura già la feci. La prima recensione in assoluto che scrissi per impatto Sonoro fu quella di “La Fine Degli Uomini Faro” in cui pronosticavo il futuro dei Radura come qualcosa di promettente, che pur partendo da presupposti acerbi già evidenziava spessore e personalità nell’interpretazione di un genere musicale a volte depotenziato dalla saturazione di gruppi troppo simili. Io nella vita ho sbagliato tante volte. Ma tante. Ma sui Radura non ho sbagliato nulla. Come l’alcolizzato che ha perso tutto e miracolosamente punta sul cavallo buono, l’unico in grado di fare un pista perfetta.

“Effetto della veduta d’Insieme”, primo full-lenght del gruppo lombardo, è un disco enorme ed è il caso di metterlo in chiaro sin dalle prime righe. Se capitate sulle mie recensioni perché avete un minimo di affinità elettive con i miei gusti non dovete fare null’altro che andare ad ascoltarvi questo disco ancor prima di finire di leggere la recensione. Se invece vi siete capitati perché già conoscete Andrea, Mario e Luca allora sapete benissimo di cosa sto parlando.

La matrice è la stessa dei due ep precedenti, ossia quella sintesi tra screamo e post-hardcore con i Raein come stella polare. In più però c’è il coraggio di osare incorporando nuovi elementi: post-rock di quello moderno vicino a This Will Destroy You e Caspian, chitarre acustiche indie-folk, atmosfere etniche, elementi sinfonici e spoken-word alla Envy sempre più pervasivo (almeno uno dei tre è andato in fissa con Insomniac Doze). L’impressione è quella di una maturità artistica e tecnica su ogni fronte, con l’intenzione di portare avanti il discorso di colleghi come Il Mare di Ross Øjne – quindi il filone più liricamente colto e melodicamente ricercato dello screamo italiano – ma con la ricerca di personalità come dichiarazione d’intenti, quest’ultima finora testimoniata da pochi altri loro colleghi come Gomma o Quercia

L’intro acustica di La Luce Che Copre Gli Angoli lambisce delicatamente lasciando le prime cicatrici e ci introduce all’ascolto per poi fare da apripista a uno dei brani manifesto del disco: Se Questa è la Nostra Festa infatti mostra le carte allo scoperto in una riflessione disperata su se stessi che solo sul finale, con tono imperativo, si rivolge a un altro interlocutore. La quintessenza del disco è già tutta racchiusa qui: ritmiche punk e viscere emo in cui tutti gli elementi succitati convergono. Monumento spinge il piede sull’acceleratore sin dall’attacco iniziale ma soprattutto riesuma i mantra lirici dell’Ep precedente: il trittico panico/sadico/magico fa riecheggiare fiero l’ “ho sbagliato” di “Coda” del disco precedente.

La brevità e l’immediatezza dei due brani successivi è seconda solo alla loro intensità, perché nel minuto e 58 di Rintocchi è come se venissero sigillati vent’anni di emocore nostrano in un crescendo ossessivo e disperato, mentre Parigi riprende il concetto di sintesi musicale dei Radura in un interludio con un tape di Italo Calvino in sottofondo.

Dal concentrato si passa al dilatato. Anzi, dalla sintesi si passa all’analisi. Tutto il tempo Che ho Passato a Non Vedere, coadiuvata dal frontman dei sodali  Øjne e da Giuseppe dei chivalà, dura nove minuti ed è un momento di ambizione musicale degno di ogni nota del caso in cui ogni membro osa più del solito: charleston della batteria velocissimo sulla prima parte (quasi triggerato), lo scream diventa più acido oltre ogni sollecitazione fisica (dal settimo minuto in avanti l’ugola più lanciata che mi sia capitato di sentire in assoluto) e come se non bastasse vengono incorporati feedback, chitarre che sembrano tastiere, accelerazioni ritmiche e progressioni noise sul finale.

Riflessi è un esorcismo violento e dannato, oltre a risultare in generale uno dei punti più alti che lo screamo abbia mai raggiunto. Si tratta proprio di peso specifico, grasso che cola, di sostanza e spessore artistico. Basterebbe anche solo la prima parte a far drizzare i peli a ogni fan del genere che si rispetti dove tutto è da manuale, senza troppe sorprese , ma con un vigore e una veemenza melodica di chi stremato dalla pandemia mette ogni oncia espressiva in un singolo brano. La seconda parte invece si colloca sul filone delle sperimentazioni del disco: percussioni (forse una tabla?) e chitarre acustiche tra l’etnico e il flamenco che chiudono il brano lasciando a bocca aperta sia per il talento sia per l’efficacia della soluzione.

Araucaria, primo singolo con cui i Radura ci hanno introdotto al disco e alla loro metamorfosi, non da mezzo segno di cedimento ma, nell’attesa che arpeggi e groove iniziali si stemperino, attacca con un concentrato di blastbeat e voci distorte. Le parole feriscono a ogni scansione nel tentativo di descrivere il tempo che passa e quello già passato. Ennesimo concentrato di poesia, potenza e intensità emotiva. L’ultimo respiro, lungo circa cinque minuti, è affidato a Costellazione || Pareidolia. Si gioca sull’intreccio tra voce urlata e voce melodica e si pesca l’ultima carta dal mazzo, ossia quella del violino (bravissima Lucia). Ma soprattutto si piange osservando le stelle per l’ultima volta prima di tornare violentemente con i piedi per terra. Alla realtà.

La mia realtà è circoscritta a poche cose che non mi danno più gioia da tempo, con le quali faccio i conti da molto tempo. Le ho messe in sospensione per 36 minuti e al termine dell’ascolto mi sento come se avessi un motivo in più per reagire, per rispettare me stesso a cui ho voluto ingiustamente male, nonostante tutto. Pochi dischi mi portano a volermi un po’ più bene quando credo di non meritarmene. “Effetto della veduta d’insieme” è uno di quelli. Siamo solo ad aprile ma non ho dubbi: disco dell’anno. 

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