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Greta Van Fleet – The Battle At Garden’s Gate

2021 - Republic Records
hard rock

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Tracklist

1. Heat Above
2. My Way, Soon
3. Broken Bells
4. Built By Nation
5. Age Of Machine
6. Tears Of Rain
7. Stardust Chords
8. Light My Love
9. Caravel
10. The Barbarians
11. Trip The Light Fantastic
12. The Weight Of Dreams


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Come ha scritto il decano dei critici rock italiani, l’unica colpa che imputiamo ai Greta Van Fleet è di essere nati con cinquant’anni di ritardo. Questo basti per far capire come ci poniamo nei confronti dei quattro post-millennials del Michigan: laicamente. Tutta la polemica sul plagio verso i Led Zeppelin e la mancanza di originalità ci annoia. Da quando in qua assomigliare agli dei del rock è una colpa? Soprattutto, colpisce che i più scatenati nell’accanirsi contro i ragazzi siano i “rocker” stagionati i quali dovrebbero accendere un cero a Sant’Antonio nel vedere che vi sono ventenni che riportano in classifica la musica con cui sono cresciuti. E lo stesso discorso dovrebbe valere per i nostri Maneskin, la versione italiana dei GVF: rock di maniera, ma sempre rock. E diciamocela tutta: se sei un vecchio rocker, daresti la vita per avere un figlio nei Maneskin o nei GVF. Altrimenti sei solo un vecchio brontolone.

Chiarito il punto, possiamo parlare di “The Battle at Garden’s Gate“. L’impressione che si ha dalle prime note è che c’è una evoluzione e che i ragazzi non sono bravi soltanto a fare il verso ai Led Zeppelin. Ancora una volta, non sembrano inventare nulla. Si possono facilmente scomodare i Rush e dire che la famiglia Kiszka sia diventata prog. È certamente la sensazione che danno le prime tre tracce. Heat Above comincia il disco con profondi accordi di organo, per poi sfociare in un riff acustico, dopo la rullatona di Danny Wagner, la prima delle tante. Bella anche l’apoteosi strumentale (tastiere o orchestra d’archi?) e l’assolo in Broken Bells. Già con Built By Nations sembra però tornare il riferimento al dirigibile, anche se qui siamo nei territori di Houses Of The Holy o Physical Graffiti, oltre l’hard rock-blues duro e puro dei primi quattro dischi. Age Of Machine spiega tutto l’armamentario di questi “nuovi” e “vecchi” GVF: arpeggione melodico di chitarra, cori finemente prodotti e arrangiati, stacchi di batteria, assolone di chitarra alla Jimmy Page. A (iper) produrre il disco c’è un vecchio marpione come Greg Kurstin, uno che ha vinto sette Grammy lavorando con gente mainstream come Adele, Beck, Paul McCartney, Foo Fighters.

Grazie a lui, i Greta Van Fleet si fanno epici. Lo senti in Tears Of Rain, fondata sull’acustica, il pianoforte e la canonica rullatona a introdurre le urla di Joshua. Ma anche qui, il cantante non sembra più fare il verso a Robert Plant, ma piuttosto a Geddy Lee. Sembra quasi come se il quartetto abbia una fenomenale capacità di mascherarsi e calarsi in pieno nei panni della band di turno, come in un cosplay rock. Trip The Light Fantastic attacca con un bel riffone di tastiere: la mega rullatona di batteria introduce basso e chitarra. Rock classico che se usciva cinquant’anni fa, oggi ci facevamo un bel Back in Time che faceva scappare la lacrimuccia a tanti settantenni.

Forse dodici tracce per più di un’ora di musica sono un po’ troppe e si fa fatica ad arrivare alla fine mantenendo alta l’attenzione. Senza contare che i testi non sono proprio leggerini: “Non combattiamo per la guerra / Ma per salvare la vita di chi la fa”. L’epica pacifista/ecologista alla Greta pervade un po’ tutta l’opera insieme ai precisi riferimenti biblici e pan-religiosi, fin dal titolo. Alla fine, c’e’ persino la mini suite di 8:51, The Weight Of Dreams, con l’assolone di Jake alla Eric Clapton.

Tuttavia, voglio vedere il bicchiere mezzo pieno e parafrasare ancora il decano: ad avercene post-millennials come loro. Che siano o meno un’operazione commerciale, come accusano i più avvelenati, i Greta Van Fleet, con tutto il loro manierismo, suonano innegabilmente sinceri. Nelle loro preoccupazioni generazionali per la pace nel mondo e la salvezza della terra e nel loro amore per le band che ascoltavano i loro genitori.

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