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Dictaphone – Goats & Distortions 5

2021 - Denovali Records
avant jazz / elettronica

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Tracklist

1. O.
2. Island 92
3. 808.14.4
4. Goats & Distortions 1
5. Tempête et Stress
6. Il grande silenzio
7. M.
8. Goats & Distortions 2
9. Your Reign Is Over
10. Griot Dub


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Nella casa berlinese di Oliver Doerell c’è una stanza segreta. In quella stanza, scavando, trova un registratore a nastro. Da questo oggetto misterioso nasce la base attorno alla quale si andrà a creare “Goats & Distortions 5”. Attorno gravitano i suoi Dictaphone e lo fanno al buio, con la sola “luce” dei nastri a illuminare la via. Una via che si dirama lungo il mondo.

Molte sono le influenze che permeano il nuovo lavoro dei belgi, si diramano in tutte le direzioni possibili. Oliver, assieme a Roger Döring (clarinetto e sassofono) e Alex Stolze (violino) sono fautori di un insieme essenziale di tutto quel jazz atipico che fa presa sulla mente e non la lascia se non dopo averla divorata per bene. I rumori della “tape machine” strisciano spaventosi, come se fosse DNA orrorifico di una creatura della notte, e gli strumenti disegnano volute di cupezza non indifferente tutto attorno.

Clarinetto basso e contrabbasso fanno giocoforza, si lambiscono vicendevolmente, trovano spazio negli interstizi e poi riempiono il resto del vuoto creato dai samples, come un canovaccio futurista, uno spartito senza righi né notazione, sporcato di cenere. Gli archi travalicano il muro e passano sopra le teste degli altri e, seppur in forma libera, imbastiscono un discorso più che compiuto e compito. Anche quando l’incipit di un brano è un cozzare astratto di suoni arriva la voce dell’ensemble a costruire dal basso, è questo il caso de Il grande silenzio e Tempête et Stress, illusioni noise che diventano tensioni e distensioni. Ci sono tanto Medioriente ed Etiopia in “Goats & Distortions 5”, spesso la commistione di questi due stili (come sentire la Masada di Zorn e Mulatu Astatke incontrarsi in un club chiuso e diroccato), combinata ad aleatori nocturnalia fanno da sponda a situazioni tra paura deliberatamente lasciata correre tra i brani a narrazioni misteriche, che paiono provenire da altri tempi, se non proprio mondi che portano i nomi di O., ma che sono ancor più marcati nella strepitosa Island 92 e nell’Africa tenebrosa di Your Reign Is Over, dando all’album colori molto forti, in una dicotomia silenzio/suono pieno che inchioda.

È un mondo buio quello dei Dictaphone, ed è un’oscurità cui rinunciare è difficile e che attira come una calamita.

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