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Liquid Tension Experiment – Liquid Tension Experiment 3

2021 - Inside Out Music
progressive metal

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A vent’anni dalla pubblicazione di “Liquid Tension Experiment 2“, l’omonimo supergruppo progressive torna sulle scene con “Liquid Tension Experiment 3“. Petrucci“, Rudess, Portnoy e Levin tornano così sulle griglie di partenza sfornando un nuovo lavoro che, già come anticipato dal titolo, niente di nuovo aggiunge alla carriera musicale di musicisti che negli ultimi vent’anni tanto hanno dimostrato e a cui, oggettivamente, molto altro non si richiederebbe.

Supergruppo “for fun” e dalla natura quasi squisitamente “hobbistica”, i Liquid Tension Experiment già all’epoca sembravano essere più un progetto volto a dar sfogo al virtuosismo tecnico di musicisti abilmente sopraffini più che un vero e proprio progetto organico ed impegnato.

Una sensazione, questa, che con con “Liquid Tension Experiment 3” trova ulteriore conferma. Credo sia normale aspettarsi sempre il meglio da musicisti che hanno segnato un genere, un’epoca, che hanno fatto la storia dei rispettivi progetti mettendo sempre in mostra le loro sopraffine qualità musicali. Allo stesso modo, nonostante la natura ovviamente più frivola di un progetto come i LTE, in un certo qual modo è lecito aspettarsi, dopo vent’anni, anche un solo timido tentativo di evoluzione, di cambiamento. Almeno una nuova sperimentazione che, proprio in un progetto libero da catene e paletti come può essere quello proposto dai LTE, potremmo e vorremmo aspettarci.

Aspettative, naturalmente, presto tradite. Con “Liquid Tension Experiment 3” ci ritroviamo di fronte ad un album dal taglio profondamente autocitazionistico, bloccato in calce in quei primi anni 2000 che hanno visto l’ascesa gloriosa di progetti come i Dream Theater. Se nel 1999 era però assolutamente originale, fresco e sperimentale quanto proposto dagli LTE (come del resto da Dream Theater e compagnia cantante), nel 2021 quella medesima offerta musicale diviene stantia, passata, priva di novità e appartenente ad una personalità talmente diluita nel tempo da divenire addirittura sbiadita ombra di sé stessa.

Non vi è molto da dire di un album realizzato chiaramente con l’intento di divertirsi e, forse, di divertire gli appassionati con il cuore ancora ben ancorato a qualche decade fa e niente più. Inutile soffermarsi sulla tecnica musicale, come sempre impeccabile, di musicisti che continuano ad interpretare i loro strumenti in maniera magistrale. Ugualmente non si può criticare il gusto di quattro personalità che, nella loro carriera, hanno mostrato a più riprese un enorme portfolio di competenze e capacità compositive.

Molto da dire, invece, sulla personalità dell’offerta musicale proposta. Un’offerta, questa, che proprio per il suo essere “bloccata” in un tempo ormai andato porta ad un prodotto che tutto sembra meno che originale. Un lavoro che risuona in un miscellaneo di tutto ciò che abbiamo già sentito ed apprezzato negli artisti in questione in un petulante eterno ritorno che, nella sua totale mancanza di nuovi spunti, con estrema facilità conduce alla noia dopo pochi ascolti.

I pezzi proposti da “Liquid Tension Experiment 3” sono dei brillanti esercizi retorici, delle magistrali “riccardonate” di superuomini della musica che risuonano come un dispiego di tecnica e virtuosismo ineccepibile quanto assolutamente non necessario e totalmente privo di un’idea concettuale alle spalle. Un circo di esibizioni trite e ritrite che, passate nel frullatore, vengono così rimescolate e riproposte all’ascoltatore attraverso quei pattern così conosciuti dagli interpreti dal suonare roboticamente automatici e prevedibili.

Un enorme spreco di risorse e possibilità che vede un bassista straordinario come Tony Levin insulsamente relegato all’essere funambolo circense all’inseguimento dei soliti virtuosismi di un John Petrucci che, supportato dell’impeccabilmente tecnico ma totalmente privo di personalità Jordan Rudess, non fa altro che fare quello che ha sempre fatto senza brillanti novità (come anche il suo ex compagno d’armi Mike Portnoy).

Insomma, “Liquid Tension Experiment 3” è un album che troverà l’amore dei fervidi sostenitori del “prog metal vecchio stampo”, ricevendo sicuramente la benedizione di coloro che per giusta ragione lodano e adorano dei musicisti che, senza ombra di dubbio, hanno fatto la storia e meritano di essere ricordati negli annali del genere.

Tolto ciò, però, niente di nuovo porta al sempre più afasico universo della musica prog (levando impropriamente attenzione a fenomeni giovani e ben più meritevoli). Un’occasione di innovazione (o di star fermi, per una buona volta) sprecata da Petrucci and co. che, evidentemente (e legittimamente), hanno ormai più voglia di divertirsi che “di far la musica”. Perché fare musica significa saper rinnovare e rinnovarsi. Altrimenti è solo blanda ripetizione.

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