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The Marigold – Apostate

2021 - Sound Effect Records
sludge / noise rock

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Tracklist

1. Exorcism Charm
2. Goat, Goth, Gone
3. The Pledge
4. Lay Down
5. Sludge Machine
6. Mono Lith
7. Loser In Lines
8. My Own Apostate


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I Marigold sono una delle formazioni più longeve nel panorama alternativo italiano. Nati nel 1998 dall’idea di musica di Marco Campitelli (chitarra e voce), non sono particolarmente prolifici dal punto di vista quantitativo – 4 long e un EP fino ad oggi – ma in termini di qualità non fanno certo rimpiangere i lunghi tempi d’attesa per l’uscita di nuova musica.

Li avevamo lasciati nel 2014: “Kanaval” tracciava poderose linee rette schizzanti nei territori più disparati, dal blues alla psichedelia, dallo shoegaze al nu-jazz. A quasi sette anni di distanza, eccoli tornare con idee nuove e con qualche cambiamento di formazione. A cominciare da Lorenzo Di Lorenzo, che dal 2017 ha preso il posto dello storico batterista Giovanni Lanci, a completare una line up che vede Stefano Micolucci al basso. Novità anche alla parte produttiva: se da un lato viene rinnovata la collaborazione con Toshi Kasai (Melvins e Tool), dietro le quinte si affaccia per la prima volta Adam Harding (Dumb Numbers), in luogo dello storico collaboratore Amaury Cambuzat.

Il frutto di questo lungo lavoro è “Apostate”, un long in otto tracce che riportano The Marigold sulla strada maestra dello sludge. Bastano i primi 60 secondi del primo singolo Exorcism Charm per capire di cosa parliamo: toni cupi, riff affilati e cantato dimesso. Con Goat, Goth, Gone si vive invece una sorta di revival dei tempi d’oro del doom, quello ancestrale dei Black Sabbath per intendersi. Un convincente passaggio in territorio industrial si fa volentieri in The Pledge, mentre con Lay Down (testo ripetuto in modo ossessivo) le battute salgono, scelta impreziosita da un paio di azzeccati cambi di tempo. 

La seconda parte del disco si scioglie in modo definitivo nelle paludi sludge. La svolta non può che essere sfoggiata già nel titolo, e infatti Sludge Machine è un ottimo sample di genere, con il permesso di qualche richiamo sludge-core. Torna il genere classico (Mono Lith), con tanto di chitarra che Marco usa come un bisturi. Poi è tempo della lunga cavalcata – oltre 7 minuti – di Loses In Lines, che non manca di guardarsi indietro, a ciò che è stato ”Kanaval” in termini di sperimentazione e destrutturazione di una singola traccia. Il finale, offerto da My Own Apostate, è a dir poco decadente.

Diciamolo chiaramente: “Apostate” non rappresenta un’innovazione, né nel genere, né nella proposta musicale di The Marigold, inoltre sui testi si poteva forse osare qualcosa in più. Ma concentrandosi sulla volontà del gruppo di fare un disco musicalmente tosto (altrimenti perché affidarsi nuovamente a Toshi?), bisogna ammettere che l’obiettivo è decisamente centrato.

Va detto, inoltre, che le otto tracce di cui si compone “Apostate” scorrono via veloci, grazie a idee fluide dalle quali scaturisce un suono compatto e organico. Non resta che goderselo quindi, sperando di non aspettare troppo tempo per ritrovarci tra le mani un nuovo disco dei Marigold.

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