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London Grammar – Californian Soil

2021 - Ministry Of Sound
pop / elettronica / trip-hop

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Tracklist

01. Intro
02. Californian Soil
03. Missing
04. Lose Your Head
05. Lord It’s A Feeling
06. How Does It Feel
07. Baby It’s You
08. Call Your Friends
09. All My Love
10. Talking
11. I Need The Night
12. America


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I London Grammar arrivano alla terza prova, nel tentativo di eguagliare l’enorme successo dei primi due album. I primi riscontri commerciali di “Californian Soil” dicono che l’obiettivo è stato raggiunto, cominciando dal primo posto centrato in patria nella settimana di rilascio dell’album. La formula è più o meno sempre quella, che li pone nel folto gruppo di seguaci dei Massive Attack che, negli ultimi anni, vanno collezionando dischi d’oro in mezza Europa.

Scorrendo i crediti, si nota nel disco un uso più che mai frequente dell’orchestra d’archi: 15 elementi che arricchiscono il suono in ben 6 tracce, cominciando per l’iniziale Intro. Il suono è complessivamente e inevitabilmente più denso che nelle precedenti prove, ma senza far rumore: si accentua l’effetto “dream pop” che il gruppo ha sempre cercato. Si nota anche un minore ricorso a produttori esterni, segno di una maggiore fiducia nei propri mezzi. Quando poi li usano, sono comunque sempre nomi altisonanti: Charlie Andrew (Alt-J, James), George Fitzgerald (colonna della scena dubstep londinese), Steve Mac (Ed Sheeran, P!nk, Celine Dion). Californian Soil, la title-track, ci riporta al sound di “Mezzanine” dei Massive Attack. I testi, per parte loro, si distinguono subito per lasciarti addosso un senso d’inconcludenza: “la canzone è una metafora per l’intero disco, qualcosa incredibilmente bello a cui tutti aspirano ma che ha forse un lato oscuro”, commenta la band, confermando l’impressione. Anche perché quale potrebbe essere il lato oscuro non sembra spiegato bene da nessuna parte nel disco.

Pian piano però, il disco alza il ritmo, sia musicale che nel linguaggio. “Ho visto il modo in cui le ridevi alle spalle / Mentre ti scopavi un’altra”, canta Hannah Reid in Lord, It’s a Feeling. È una canzone in cui dico parolacce e non te lo saresti aspettato da una brava signora di classe media. Nel disco precedente, avrei avuto dei dubbi prima di farlo” – racconta la front-woman – “Devi renderti vulnerabile per farlo, ma la ricompensa è grande perché se fai qualcosa che gli altri possono ascoltare e identificarcisi, hai fatto del bene al prossimo, piuttosto che scrivere una canzone solo per te stessa”. Reid sembra quindi voler andare sul personale, parlare di “relazioni manipolative e tossicità” sperimentate sia nella vita sentimentale che nell’industria musicale.

How Does It Feel e’ un brano molto pop e orecchiabile, che potrebbe ben figurare in un disco di Dido. “Ho sempre amato la musica pop. Questa canzone e’ nata come un esperimento e ora è una delle mie preferite del disco”, racconta sempre Reid. Quando riapriranno le discoteche, potrà funzionare bene in pista, con un bel remix dance e tirato, con quel ritmo basico e ballabile. Baby It’s You anche evoca assembramenti di quelli che non ne vediamo più da un anno. Una canzone leggera e festaiola sull’essere in una folla e avere occhi per una sola persona.

Alla fine, i London Grammar non sembrano voler tirare nessuna linea definitiva in questo disco. La loro è l’arte sofisticata di chi non chiarisce mai se abbia tanto o poco da dire. Sono musicisti che non hanno inventato nessun nuovo genere, ma continuano ad attingere da altri. Eppure, di nuovo in “Californian Soil”, suonano unici e riconoscibili, come poche band sanno fare. E a tal fine sanno ben sfruttare la caratteristica voce della Reid, come appare chiaro in tracce come All My Love e America: sembra esserci solo lei e il resto è solo accompagnamento. A meno che non alzi il volume e un mondo di suoni si svela. Questa è la loro formula vincente, che questo disco non modifica.

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