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Disconnection – L’hardcore italiano negli anni Novanta


Scheda

Autore: Giangiacomo De Stefano, Andrea "ICS" Ferraris
Uscita: 03/2021
Editore: Tsunami Edizioni
Pagine: 416
Prezzo: € 22

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Giangiacomo De Stefano e Andrea “ICS” Ferraris si sobbarcano l’onere di riportare a luce e memoria una pagina della musica italiana non allineata sin troppo poco spesso dibattuta, ovvero quella dell’hardcore nostrano degli anni ’90, spesso messo in ombra dal decennio ad esso precedente, di cui si è parlato in ogni modo e salsa, anche a ragion veduta, per carità. Il primo scafato documentarista (sua la serie “Rotte Indipendenti” di qualche anno fa, tra le altre) e il secondo membro di svariate band che proprio in questa decade hanno trovato il loro spazio nella nicchia-non nicchia del genere preso in esame in “Disconnection – L’hardcore italiano negli anni Novanta”.

C’è da dirlo, il volume in sé è fatto a regola d’arte, dalla grafica ai colori di copertina a dir poco magnetica ma, soprattutto, all’utilizzo di un certo tipo di carta e del bianco e nero tipici delle fanzine hc, e siamo già nel mondo della nostalgia. Inutile nascondersi, ma proprio questo è l’effetto che l’intero tomo ci riversa addosso. Il tutto si struttura esattamente come – per fare un esempio tra i più stranoti – il film “American Hardcore: The History Of American Punk Rock 1980-1986”, ma in forma scritta, con De Stefano e Ferraris a fare da voce “neutra” fuori campo, impostando la narrazione, mentre ad entrare nel vivo dei ricordi sono i diretti interessati, ovvero molti di coloro che l’hardcore in Italia lo fecero, poiché la narrazione vera e propria tocca a loro, scelta che apprezzo al di là dei contenuti proposti dai singoli, poiché mostra l’anima sfaccettata del periodo fatta di importanti pluralità.

Vengono chiamati in causa personaggi di tutte le formazioni che contano, del prima e del dopo, delle “fanze”, etichette e luoghi d’aggregazione da tempo perduti: membri di Kina, Indigesti, Declino, Negazione, Cheetah Chrome Motherfuckers, Upset Noise, Growing Concern, Think Twice, With Love (Nico Vascellari introduce pure), By All Means, The Death Of Anna Karina, Sottopressione, Fine Before You Came, Rumore, Isola nel Kantiere, Al Confino, Green Records, SOA Records, Blu Bus, La Crisi, Cripple Bastards, e, già che ci siamo, Walter Schreifels, e ancora Burning Defeat, Woptime, I Fichissimi, Comrades, One Fine Day, Concrete e altri millemila.

Si parla di tutto, da come si arrivò negli anni ’90, a dove e come si suonava, i festival, la politica, lo straight edge, che fu croce e delizia di tutto il movimento, degli scazzi e di cosa unì e divise la cosiddetta scena, le città come zone d’influenza, legame ma anche “pregiudizio”, della presenza femminile fin troppo esigua e del trait d’union con scene europee e statunitensi. Non si incensa niente e lo si fa di continuo, ci si allontana dall’autoreferenzialità e la si abbraccia, poiché tante sono le voci e i pensieri che si accavallano, tutti divisi e uniti, appunto. Più mi sono addentrato nella lettura, più mi sono chiesto a chi potesse essere rivolto un libro di questo tipo. Un manuale per neofiti? Difficile a dirsi. Un album di ricordi di chi c’era? Forse sì. Eppure tanto si fa per spiegare i contenuti, musicali ma in particolar modo non, che contraddistinsero tutto l’hc ’90. Fate conto, per usare un parametro ardecore, che il sottoscritto nasceva un anno dopo l’uscita di “Osservati dall’Inganno” dei suoi concittadini Indigesti, e se tutta quella zona temporale mi era nota, tanti dei nomi qui presenti mi risultavano sconosciuti – qualche anima pia si è pure presa la briga di caricare tanti di questi album su YouTube, cosa che mi ha permesso di ascoltare leggendo e, infine, razziare il razziabile su Discogs.

Perché? Tutto sta proprio nell’idea di messa in ombra da parte dei padri fondatori del genere su suolo italico. Tutto? Anche in questo caso non sono certo sia al 100% la motivazione e la domanda viene fuori in più punti della storia: “Cos’è andato storto?”. Perché questa generazione di musicisti non ha passato il testimone alla mia, che eppure suonò di lì a poco, con ancora qualcosa che bruciava sotto le ceneri, e con intenti in tutto e per tutto simili a quelli che marchiarono e portarono avanti tanti di quei gruppi? Al quesito il documento che stringo tra le mani non dà responso, anzi, volendo getta ancor più dubbi in chi ha vissuto quest’ulteriore colpo di coda, frustrato dal pubblico, dalla mancanza di spazi ma, ancor peggio, dall’idea di non aver fatto abbastanza (io, oggi, sono tra questi ultimi).

Ciò che si legge, infatti, è come in epoche in cui la comunicazione era difficile si riuscisse a creare un circuito fluido di informazioni, e se ne parla molto, molto a fondo, le testimonianze non mancano e c’è il bello e il brutto di credere intensamente a qualcosa che per questi ragazzi (erano kids, d’altro canto) era importante, ma che, a mano a mano, il lettore comprende essere punto di forza e Tallone d’Achille del discorso. Il bello è che ho visto le persone più disparate acquistare il libro, ma nessuna di una generazione successiva alla mia. Di pecche ce ne sono, perché nasconderlo. Avrei ad esempio ascoltato molto volentieri voci fuori dal corE, di musicisti di altre “fazioni”, capire se tutto il “genere” è stato tanto necessario per coloro che lo fecero vivendolo, costruendolo tassello per tassello quanto per chi lo vide da fuori, magari sfiorandolo, perché proprio tra il 1990 e il 1999 la musica alternativa in Italia è stata un appuntamento incredibile quanto mancato a metà Anni Zero, con uno sfilacciamento ben visibile a tutti. Purtroppo da questo punto di vista si viene disattesi, ma il bilanciamento tra “positivo” e “negativo” è comunque sufficiente a non rendere il tutto mero esercizio amarcord, forse con qualche punta d’esagerazione ma, perché no? Se uno ci ha dedicato tanto e investito altrettanto, è nel gioco che ciò accada.

Tsunami con “Disconnection” fa comunque centro, e con lei gli autori, che percorrono una strada che riflette e fa riflettere su ciò che fu (ma che non è più, e questa è la mia sentenza in disaccordo con tante di quelle qui presenti), un coro plurale di voci, senza inchiavardarsi a schemi e liste, per quello poi, nel caso, ci siamo noi webzinari.

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