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Back In Time

“Freedom Of Choice”, l’inizio della fine dei Devo

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I Devo li ho scoperti ascoltandoli in radio, ricordo ancora le parole dello speaker: “Il tempo secondo loro non esiste, quindi quella che state per ascoltare non è la cover di  (I Can’t Get No) Satisfaction dei Rolling Stones… è Mick Jagger che ha copiato da loro”. Dopo la risata che mi venne spontanea, pensai “Questi o sono pazzi, o sono visionari”. Con il tempo la prima ipotesi è inesorabilmente evaporata.

I Devo si formano ad Akron, nell’Ohio, complice l’amicizia tra i fratelli Casale (Jerry e Bob) e Mothersbaugh (Mark e Bob), tutti chitarristi, ai quali si aggiunge il batterista Alan Myers. Sono talmente fans dei Kraftwerk che a tratti credono di essere la versione americana di Schneider e soci. Non avrebbero però avuto vita lunga se si fossero  limitati a riprodurre suoni da una tastiera o se avessero solo preso a pretesto un certo tipo di musica per lanciare messaggi ecologisti, come i loro idoli di Dusseldorf. Siamo pur sempre negli Stati Uniti di inizio anni ’70, quindi se hai una band è quasi obbligatorio partire dal punk, anche se sei lontano da New York o Los Angeles. 

Ai cinque non è andato giù il massacro che la National Guard mise in atto nel piazzale della Kent State University, quando il 4 maggio del 1970 i poliziotti uccisero 4 manifestanti che protestavano contro l’occupazione militare in Cambogia. Da quel momento l’opinione pubblica sulla guerra in Vietnam iniziò a cambiare direzione, ma soprattutto – dal nostro punto di vista – si erano di fatto formati i Devo.

Con il passare degli anni il messaggio politico diventa antropologico. L’uomo ha sviluppato nuove tecnologie, in futuro è destinato a piegarsi completamente ad esse. Ben presto gli esseri umani saranno tutti uguali, non nel senso dei diritti, proprio morfologicamente. Avranno gli stessi gusti, faranno tutti le stesse cose: il prossimo passo sarà l’arrivo e il dominio dell’uomo patata. Da qui il nome Devo, che sta per de-evoluzione, il contrario del percorso tracciato da Darwin. Per rendere meglio l’idea, i cinque di Akron danno vita a concerti nei quali si vestono allo stesso modo (ivi compresi i discutibili copricapo), si muovono in sincronia e caratterizzano le performance con una serie di tic intermittenti, di spasmi, che sottolineano la moderna condizione di disagio da parte dell’essere umano.

Nella seconda metà degli anni ’70 iniziano a fare sul serio, attirando le attenzioni di David Bowie, Iggy Pop e Neil Young, non proprio gli ultimi arrivati. Iggy, più di tutti, è entusiasta a tal punto da proporgli la produzione del loro primo disco. Non se ne fa niente, ma grazie a diverse intercessioni i Devo vengono contattati da Brian Eno. Nel 1978, grazie all’intuizione del padre fondatore dell’ambient i quattro firmano un contratto con la Warner e incidono quel capolavoro che è stato “Q: Are We Not Men? A: We Are Devo!” Punk, post punk, new wave, no wave, art punk, chiamatela come vi pare, quel disco è sballo puro. Una serie di proiettili sparati all’impazzata e in qualsiasi direzione, da Mongoloid a Joko Homo, da Uncontrollable Urge alla famigerata cover degli Stones.

Appena un anno dopo qualcosa cambia. Esce “Duty Now For The Future”, ma nonostante lo stile muti di poco, pubblico e critica stroncano sia il disco che il successivo – e pirotecnico – tour. Il problema viene individuato in Ken Scott, autore di una produzione non all’altezza delle aspettative della band, ma obiettivamente anche il punk – alla soglia degli anni ’80 – ha un po’ stancato. 

Ed eccola, la de-evoluzione. Prende vita nel momento esatto in cui la band rinuncia a cercare risposte nell’intuizione di cosa accadrà in futuro, come fatto agli esordi, riscoprendo al contrario il panorama musicale classico degli Stati Uniti di quel decennio, su tutti soul, funk, r&b e motown. Dai Kraftwerk si passa (inspiegabilmente) a Stevie Wonder, reduce da titoli come “Talking Book”, “Innervisions”“Fulfillingness’ First Finale”. L’uomo giusto per il rilancio è Robert Margouleff, guru del suono di quei dischi e inventore – insieme a Malcolm Cecil e con l’aiuto di Robert Moog – di un mostruoso aggeggio chiamato TONTO, acronimo di The Original New Timbral Orchestra: si tratta di un super-synth analogico, polifonico e multitimbrico, in grado da solo di dar vita ad un intero disco, “Zero Time” (1971). Ascoltare per credere.

È da quel punto che i Devo ripartono, consci del fatto che la nuova squadra alla parte produttiva impone di accantonare le chitarre e dar vita a un disco improntato sul sintetizzatore. Terminare il processo di sprovincializzazione vuol dire anche trasferirsi da Akron ai Record Plant Studios di Los Angeles. 

“Freedom Of Choice” mostra quale sarà la sua essenza già con l’iniziale Girl U Want: l’ossessività diventa tormentone, la protesta sarcastica si arena nelle languide maglie di una canzone d’amore. Con Whip It si passa direttamente alla multimedialità commerciale, quella dei videoclip, intuizione che tornerà utile l’anno dopo, quando proprio la Warner lancerà il canale televisivo Mtv. Ci sono poi buone e doverose evoluzioni del sound precedente, su tutte It’s Not Right e Ton O’ Luv, qualche scelta stilistica ambiziosa (Freedom Of Choice), alcuni brani che si discostano notevolmente dai vecchi Devo – ad esempio Snowball – ma parliamo pur sempre del lato A. Il retro somiglia ad una lenta agonia. Pezzi a tratti impersonali e indistinguibili, pochi momenti timidamente sferzanti (That’s Pep!) e un lento scivolamento verso la fine. 

Dal punto di vista tecnico e dell’ispirazione, “Freedom Of Choice” non è nemmeno lontano parente di “Q: Are We Not Men?…”, non c’è nemmeno bisogno di sottolinearlo. E’ il compimento della de-evoluzione per almeno tre motivi. Innanzitutto, i suoni si ammorbidiscono a tal punto da ritenere conclusa la parabola che parte dal punk primordiale e arrabbiato degli esordi e termina con il synth-pop al profumo di new wave. Inoltre, rappresenta un metaforico coperchio che salta, facendo uscire i Devo dalla loro nicchia. In ultimo, conseguenza del punto precedente, le vendite dei dischi iniziano a salire vertiginosamente, grazie anche al video di Whip It – uno dei più trasmessi da Mtv nei primi mesi di vita – circostanza che in pochi mesi scaraventa la band dall’anonimato ai vertici della US Billboard 200. 

Da “New Traditionalists” (1981) in poi, verrà pubblicata una serie di dischi che sanciranno la definitiva perdita di ispirazione della band. Tuttavia, a modo suo, “Freedom Of Choice” è memorabile e inconsapevolmente geniale. Ciò perché, di fatto, i Devo cadono vittime di sé stessi: il tagliente disprezzo nei confronti della società americana, che ha nel consumismo uno dei suoi massimi valori, diventa una triste cavalcata verso il consumismo stesso, generato dai milioni di dollari incassati tra vendite di dischi e concerti. 

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