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Interviste

Chi vi credete che noi siamo: intervista ai Bachi da Pietra

Foto: Igor Londero

Dopo 6 anni l’insetto dello sterco è risorto, tornando a deliziare i nostri palati, ormai secchi da un po’, e per ribadire un paio di concetti importanti, tracciando, con una nuova formazione allargata, nuove traiettorie sonore e nuovi sentieri artistici. L’ultimo album “Reset” (qui la nostra recensione) non assomiglia davvero a nulla di prodotto in precedenza; certo, i Bachi sono sempre i Bachi, ma di strada se ne è davvero percorsa: dal sofferto assalto embrionale di “Tornare nella terra“, allo spettro minerario di “Quarzo“, per approdare all’horror metal di “Necroide“. “Reset” è il disco del bilanciamento, dei conti, dell’equilibrio e del rinnovamento, spirituale e sonico. Abbiamo incontrato Giovanni Succi per l’occasione, per due chiacchiere sull’ultima uscita e sullo stato di trasformazione del Baco.

Ciao Giovanni e bentornato sulle pagine di Impatto Sonoro. Come stai? Come sta il Tarlo?

Se la cava nella cava il loop di carne alla grande. E se non se la cava sfonda il fondo e scava. Come sempre.

I Bachi da Pietra sono tornati, dopo sei anni da “Necroide”. Il vostro record di assenza dalle scene. Come mai questo buco relativamente lungo?

Il tour di “Necroide” si chiuse a fine 2016 e pensammo di dedicarci un paio d’anni ai progetti che coltiviamo a rotazione. Nel ’18 il terreno dei Bachi non era pronto, nel ’19 Marcello Batelli ci ha dato una mano. Il 2020 era la cifra tonda tonda che attendevamo per RESET, che poi è slittato come qualsiasi cosa al 2021. Ma ti dirò: dopo tutto il numero 21 ci rappresenta meglio del 20, in questa nuova fase in cui ai 2 membri se ne aggiunge 1. La cabala del caso ci ha messo del suo.

Mi è parso dopo i primi ascolti un disco che cerca molto la comunicazione col pubblico, anzi, in due tracce l’interazione è esplicita. Come mai questa scelta?

Ehi tu, di che razza siamo noi?”, la prima. E “Ciao pubblico non dico mio perché non ti ho / tra noi non c’è possesso solo rock’n’roll”, l’ultima. Spero rendano l’idea. È un rapporto a due, tra noi e il pubblico, dal momento che noi pubblichiamo e lui ha le orecchie. Gli abbiamo chiesto di seguirci nelle scelte più improbabili e ora pure questa. Comprendo perfettamente anche chi non se la sente. Il pubblico che si avvicina a quel che siamo compie già un gesto di coraggio e va ricambiato, giocando a carte scoperte, mostrando quel che siamo, senza la pretesa di convincere nessuno. A qualcuno farà schifo a qualcuno piacerà.

Mi è sempre sembrato (Reset-era compresa) che il motivo per cui facciate musica sia essenzialmente perché questo vi realizza e vi fa stare bene. È (ancora) così?

Se non fosse così faremmo altro. Per suonare la mia musica liberamente ho fatto tanti altri mestieri, ma alla fine ho deciso di morire di questo. Ho 52 anni e il me stesso di 12 è fiero di questo vecchio. Non gl’importa un fico secco se guido utilitarie di seconda mano. Mi voleva come sono, ho fatto un buon lavoro, il meglio che ho potuto. Se per qualcuno è sbagliato o è troppo poco, che si fotta.

In base alla tua percezione, immagini che a un ipotetico concerto possa esserci un pubblico più o meno numeroso rispetto al 2019?

A immaginare si sbaglia sempre, ma speriamo tutti che la voglia di LIVE esibita sui social si traduca in fatti concreti nel mondo reale. Chi lo sa.

Foto: Igor Londero

Che volto ha secondo te il pubblico dei Bachi da Pietra?

Il volto di quelli che ti guardano negli occhi senza troppi pregiudizi e hanno più di sette secondi di attenzione.

Quanto spesso riascolti i tuoi dischi?

Raramente, ma quando capita ci godo. Non rinnego un solo titolo di tutta la mia discografia, il che non è scontato per chiunque, a questo punto della storia. Sono immagini diverse, fedeli alle mie mutazioni: evidenti o meno, ma mai nulle. Non sono di quelli che dopo venti o trent’anni producono sempre nello stesso modo. Ho molti limiti, ma non questo, non mi sono mai imbalsamato in quel che ho fatto. Credo sia il segreto del mio insuccesso. Quel che lascio dice questo.

Nel tour di “Reset” porterete sul palco anche brani riarrangiati dello “stadio pupale’’ dei Bachi o solo quelli post-Quarzo?

A questo punto tutte le strade sono aperte, abbiamo grandi in-successi in tutto il repertorio, vanno dal blues minimale di VERME a BLACK METAL IL MIO FOLK e non vediamo l’ora di dar loro un’altra chance. Per i primi tempi saranno solo cinque o sei pezzi, il distanziamento ci ha tenuti lontani anche dalle prove, non solo dai palchi. Selezionare quei cinque o sei, per noi, è stata dura.

Alla fine si è capita qual era “’sta cazzata che ci abbagliava l’esistenza?’’

L’insetto dello sterco avrebbe la risposta pronta: era la sua faticosa, splendida e preziosa pallottola di merda. Per me uguale. Suppongo fosse il rock’n’roll, la letteratura… Chiunque sia stato mosso da una passione forte per una vita intera è condannato a porsi prima o poi quella domanda. L’augurio è che quella cazzata sia ancora la stessa che ti fa alzare al mattino, nonostante tutto.

Grazie mille per il tuo tempo!

Grazie a voi per i vostri sette secondi, nel frattempo vi siete persi: sette nuovi rapper che han fatto i soldi, sette grandi amori non corrisposti, sette nuovi balli latini per l’estate e potrebbe interessarti anche questo buffo cane.

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