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Morcheeba – Blackest Blue

2021 - Syke & Ross Ltd.
trip hop

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Tracklist

1. Cut My Heart Out
2. Killed Our Love
3. Sounds Of Blue
4. Say It's Over
5. Sulphur Soul
6. Oh Oh Yeah
7. Namaste
8. The Moon
9. Falling Skies
10. The Edge Of The World


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Negli anni ‘90 i Morcheeba suonavano incredibilmente cool e moderni. Oggi suonano ancora cool, ma retrò. Rassicurante. Ti avvicini a questo nuovo disco loro e capisci subito che la formula, di base, non cambia: trip hop per tutti i gusti. Certo, i riscontri delle classifiche non sono più gli stessi da una ventina di anni a questa parte, diciamo. Eppure, non è che il genere di cui furono tra i pionieri sia sceso nei favori del pubblico. Basta vedere i risultati che ottengono Lana Del Rey e i London Grammar, per fare due nomi a caso. Poco importa: “Blackest Blue” e’ un buon disco con la stessa ispirazione di sempre. E tanto ci basta.

Come sempre, i Morcheeba sembrano fare musica “tra le note” e “tra un beat e l’altro”, senza fretta. Lo dicono anche loro che, grazie alla pandemia, “non c’erano pressioni e avevamo tutto il tempo per mettere a posto le canzoni”. La formula è sempre quella che li portò al successo internazionale all’epoca, presa in prestito dal trip hop di Bristol, imbastardito con la loro allure londinese, colta e contaminata. In “Blackest Blue”, Syke Edwards e Ross Godfrey sono ancora sul pezzo e ancora capaci di sfornare canzoni che ti si appicciccano addosso. È il caso di Killed Our Love o The Moon, con la seconda che, chissà perché, sembra presa dai titoli finali di un film di James Bond. I loro soliti ritmi lenti e un po’ bluesy cantati e arrangiati con il fascino di sempre, per tracce che fossero uscite venticinque anni fa avrebbero avuto ben altra fortuna commerciale di quella che avranno.

Oh Oh Yeah propone la stessa formula di lounge music sensuale ma, in questo caso, spalmata su quasi 7 minuti che passano senza noia. Falling Skies si concede un po’ di pompa da pop sinfonico, sorretto dalla chitarra acustica e dal violoncello suonato (per la prima volta) da Syke. Il contrario di Say, It’s Over che è una piano ballad semplice, cantata con l’aiuto di Brad Barr. L’altra ospitata è per Duke Garwood con il pezzo dance dell’album: The Edge Of The World. La sua voce oscura si somma a stridii inquietanti che creano un’atmosfera da film horror, che però si risolve nel ritornello con l’intervento di Edwards. Il disco si concede anche il pezzo strumentale, Sulphur Soul, un po’ funky, un po’ industrial, ma sempre lounge alla fine.

Insomma, dopo 43 minuti di questa musica, nella peggiore delle ipotesi nasce la voglia di rimettere su “Big Calm” o “Fragments Of Freedom” e dire: “beh, però all’epoca erano originali, ora rifanno solo se stessi”. Oppure, nella migliore delle ipotesi, ti rimetti su proprio “Blackest Blue”, seguendo il suggerimento di Ross: “vorrei che la gente l’ascoltasse a casa fumando marijuana”. Sempre lì si torna con queste vecchie glorie del trip-hop: alle canne.

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