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Turangalila – Cargo Cult

2021 - Private Room Records
experimental rock / post metal / heavy psych noise

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Tracklist

1. Omicidio e fuga
2. Don't Mess With Me, Renato
3. Tone le rec
4. Liquidi e spigoli
5. Cargo Cult
6. Cargo Cult coda
7. Die Anderen


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Cargo Cult” è un’allucinazione, nell’Italia non allineata del 2021. Ascoltandolo non ti pare vero sia un esordio, eppure è proprio così. Finora, al fine di trovare qualcosa che smuovesse le acque, ci si è dovuti affidare agli esperti di un settore che è finito sciolto altrove, ma i Turangalila sono una speranza inattesa.

Il quartetto di Bari si riunisce nel 2018 sotto il moniker preso in prestito dall’opera magna di Messiaen (o meglio la più conosciuta anche in ambito “pop”, e se vi viene in mente un personaggio di “Futurama” è esattamente per lo stesso motivo), e l’idea di ricercatezza del combo non finisce affatto lì, il mondo cui apre il gruppo è di quelli che si potrebbero estendere ben oltre il confine delle cose oblique al gusto di “massa”, anche quando quest’ultima è più nicchia che altro, e forse c’è da ringraziare proprio per questo, dato che ora “li vogliamo diversamente tutti uguali”. Ecco, Turangalila sono diversi e basta, e nel senso che più preferiamo, almeno a queste latitudini.

Nel comunicato stampa si legge “la Puglia come Palm Desert”, ebbene sì, ma anche come New York, il Texas assurdo di fine ’80 e inizio ’90, la Scandinavia pesante, mille altre cose, tutte nello stesso contenitore. Il disco è storto che più storto non si può, un mix alienante di realtà che, seppur riconoscibilissime, messe assieme danno adito ad un suono che a definire nuovo non si fa peccato. Attecchisce nel basso il senso di pesantezza post-metallica, sfrontato e a passo di carrarmato si muove tra chitarre duanedenisoniane, oblique, taglienti e rimbomba tra pareti che spaziano in tempi dispari jazzadelici, corroborati da synth gelidi, in un coagularsi di melodie assurde. L’incedere è impietoso, la voce fa da trait d’union alla distruzione tutt’attorno, in una pulizia cristallina dalla quale spiazza l’uscita in volo del violino. Non c’è un punto d’appoggio, quando uno strumento spinge a sporcarsi nella violenza, un altro porta la luce, in un susseguirsi pressoché infinito di rumore e grazia incuneati in un tunnel spazio-temporale, dal fare psichedelico, ma non come genere in sé, più come idea percettiva, nelle progressioni che fanno a spallate.

Così tanta carne al fuoco è molto spesso a rischio bruciatura e fine prematura, che “Cargo Cult” sia eccezione a conferma della regola? Giocando e muovendosi sul famigerato filo del rasoio i Turangalila stanno di lato a tante cose cui ci siamo abituati, e i suoni che ne sono espressione sono lì a dimostrarlo. L’augurio è che tutto non svanisca nel giro di un disco ma che, finalmente, si apra un nuovo stadio di realtà a latere. Si partisse da qui sarebbe gran cosa.

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