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“Lossless”, la musica del futuro suonerà come quella del passato: meglio

La musica tornerà ad essere lossless: “senza perdite”, senza compressione di dati. Gli annunci in tal senso delle principali piattaforme di streaming fioccano. Amazon Music aveva recentemente lanciato l’opzione, così come Deezer, per i propri abbonati. Ma adesso è il momento dei pesci grossi, delle due piattaforme che messe insieme fanno oltre la metà del mercato globale dello streaming. Apple Music ha introdotto musica lossless (e persino in surround Dolby Atmos) dal 1° giugno, per i propri abbonati, senza sovrapprezzo. E Spotify ha confermato di essere quasi pronta per il grande salto, che avverrà nel corso del 2021.

Per annunciarlo, l’azienda è ricorsa a testimonial come Billie Eilish e Finneas che ci spiegano l’importanza dell’avvento della musica lossless. Come spiegano i due fratelli: “Audio di alta qualità significa semplicemente più informazioni: in pratica, ci sono cose che non puoi sentire senza. È davvero importante per noi, perché facciamo musica che vuole essere ascoltata nel modo in cui è stata creata” E ancora: “Ci sono così tanti piccoli dettagli peculiari che mettiamo nella nostra musica e quando qualcuno si prende la briga di ascoltarla in alta qualità, sappiamo che stanno ascoltando tutto quello che noi volevamo che ascoltassero”.

Si tratta dunque di una nuova rivoluzione che migliorerà la qualità della nostra esperienza musicale, riavvicinandola a ciò che era nel passato, prima dell’avvento della musica liquida. Lo streaming, non c’è dubbio, ha rivoluzionato e semplificato le nostre abitudini d’ascolto. Venendo meno la necessità del supporto fisico, vinile o CD, la musica è diventata facilmente trasportabile. Sta nel nostro smartphone (che sta sempre con noi) e tutto ciò di cui abbiamo bisogno è una connessione internet per connetterci alla nostra piattaforma e una connessione bluetooth se vogliamo mandare la musica alle cuffie o alle casse. Fichissimo e pratico ma, non tutti se n’erano accorti, ci stavamo perdendo una bella parte dell’esperienza. I file che ascoltiamo infatti, sono file compressi, “lossy”. Per praticità e per risparmiare (loro), Spotify e le altre piattaforme ci fanno ascoltare dei file leggeri che contengono, all’incirca un quarto delle informazioni che contengono i file immagazzinati su CD. Parliamo di 320 kbps (kilobits per secondo, la misura della velocità dei dati su una rete informatica), contro i (fino a) 1410 kbps dei file lossless. Calcolando in MegaByte, i file della stessa traccia musicale pesano 3-4 volte meno, se sono “lossy”. Il risultato è che la musica è facilmente trasportabile e facilmente riproducibile, senza buffering e interruzioni anche con connessioni internet lente, ma perde un sacco di dettagli.

Spotify, Apple Music, Amazon Music, Google Music, YouTube ecc., hanno finora usato solo file compressi: MP3, MP4, AAC, ecc.. I file dei CD invece, designati da sigle quali AIIF e ALAC, sono file lossless, senza perdita di dati. Lo streaming lossless o in “qualità CD”, fino ad ora era un segmento di mercato minoritario (circa l’1%), per nerd audiofili, presidiato da due piattaforme sconosciute ai più come Tidal e Qobuz. I loro servizi lossless hanno un costo che è almeno il doppio di un abbonamento a Spotify. Ma la differenza tra un file AIFF e uno MP3, o tra AAC e ALAC, è distinguibile anche a un orecchio non allenato. Oltre al peso del file cambiano tutti gli altri parametri che misurano la qualità del suono. Che conseguenze ha questo? Basta ascoltare con le proprie orecchie. I suoni sono meno definiti, i vari strumenti e la voce si distinguono meno l’uno dell’altro, non c’è dinamismo audio, ecc. Ognuno può descriverlo come vuole. A me piace dire che “non c’è spazio tra gli strumenti”. Oltre alla musica lossless, Tidal e Qobuz offrono anche un certo numero di file a alta risoluzione: 24/32 bit, invece dei 16 della qualità CD. In teoria, si passa a una “qualità studio”: ascolti la musica come se fossi in studio con i musicisti. Entrambe le qualità, “CD” e “studio”, saranno ora disponibili anche sulle grandi piattaforme con l’importante novità che, sia Apple che Spotify, renderanno il servizio disponibile ai loro abbonati senza sovrapprezzo. Naturalmente, la musica non potrà essere lossless per chi non si abbona e continua a usare il servizio “gratuito”, che poi gratuito non è perché ti scassano la minchia con la pubblicità, oltre a usare i tuoi dati personali non si sa bene come….

In pratica, con 10 euro al mese, potremo tornare ad ascoltare la musica digitale dai nostri smartphone con la stessa qualità che offrivano (e offrono) i CD. A questo punto un audiofilo vi avviserebbe del fatto che, in realtà, il risultato finale dipende da molti altri fattori, non basta disporre di un file lossless. Entra in gioco la qualità del DAC (Digital to Analog Converter, che è l’apparecchio che ogni riproduttore di audio digitale possiede e che consente ai dati digitali di essere udibili all’orecchio umano); dipende dalle cuffie o dalle casse che si usano per riprodurre il suono; dipende da come ci si connette ad esse, via cavo (meglio) o via Bluetooth e, in quest’ultimo caso, da quale protocollo BT si usa. Se si introducono tutte queste variabili, il risultato finale può variare ulteriormente con esiti disparati. Ma questo è un altro discorso che potremmo fare un’altra volta, se v’interessa, e che coinvolge l’eterna disputa “digitale vs. analogico” o “vinile vs. CD vs. streaming”. Dispute che grazie ai file lossless perderanno un po’ di senso, in quanto, a ben vedere, se lo streaming è senza compressione, il punto di partenza (cioè la qualità del file musicale) è la stessa dei CD (o persino migliore, se si ascoltano i file in alta risoluzione). Perderanno un po’ di senso (ma non termineranno…) anche le polemiche, promosse dai meno giovani, sul fatto che la musica di prima “suonava” meglio. Di fatto, grazie ai servizi lossless, le nuove generazioni di ascoltatori potranno cominciare a udire tutta una quantità di dettagli che, con l’avvento della musica liquida, si erano persi con la compressione.

Avete quindi ora ulteriori buoni motivi per andare ad elevare il vostro servizio streaming da “gratuito” a “in abbonamento” e eventualmente, comparare cosa le diverse piattaforme offrono, in cambio dei vostri soldi, anche in termini di qualità del suono. Se poi volete incorporare nelle vostre scelte di consumo anche valutazioni etiche e contribuire ad una economia dello streaming musicale che sia sostenibile per gli artisti che amate, potete andarvi a rileggere il nostro articolo di marzo.

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