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Alek Hidell – Ravot

2021 - Trovarobato
elettronica / sperimentale

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Tracklist

1. Yolk
2. Dinghy
3. Wom
4. Motherland
5. Spoons
6. Torpedo
7. Siel
8. Legs
9. Flare
10. Blo
11. Let Me Take a Last Dive


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Dario Licciardi, alias Alek Hidell, merita una breve presentazione. È un producer cagliaritano, trapiantato a Milano. Ha collaborato a Die di IOSONOUCANE, registrando synth e sampling in due brani dell’album, e realizzato remix per Any Other, Matilde Davoli, IOSONOUNCANE, Indianizer, Neeva. Alek Hidell è il suo nuovo progetto musicale, che nasce in seguito allo scioglimento di Everybody Tesla.

La brevissima intro lascia pensare che “Ravot”, album di esordio per la label Trovarobato e per le edizioni musicali Panico, sia estremamente promettente. E così è, in effetti. Irrompe con una certa prepotenza nella scena elettronica con la sua formula misteriosa e magnetica. Le composizioni sono figlie degli ascolti eclettici del producer, la scrittura è intrisa di progressive, di timbriche psichedeliche, di suggestioni kraut e di echi da library music. Il risultato è un mondo sonoro estremamente ampio, inedito e personale, ricco di sfumature. “Ravot” è un concept album, tratto da un evento di cronaca realmente accaduto a Buggerru nel paese di cui Alek Hiden è originario. Nell’estate del 1942 un siluro vagante si schianta contro la banchina del porto, uccidendo due bambini. Un terzo, Ravot appunto, vede tutto scampando alla morte ma non alla perdita della ragione. Dario Licciardi racconta la storia dal punto di vista del sopravvissuto. Entra nel suo mondo, lo scompone, lo destruttura, astraendo dolore, ricordi, e ricostruendo un viaggio tanto immaginario quanto reale dell’evento.

Per godere appieno dell’ascolto è opportuno conoscere la storia che accompagna l’album, altrimenti si corre il rischio di non cogliere tutte le sfumature della narrazione. Yolk è l’epicentro della catastrofe, il punto in cui il siluro decide di farsi esplodere. È il centro da cui tutto nasce o tutto muore. I synth raccontano di uno schianto, di muri di onde, di momenti confusi. Non poteva esserci altro inizio. Dinghy gioca come giocherebbero dei bambini, allegri, non curanti di alcun pericolo, mentre con Wom si rallenta il ritmo della narrazione con cori i che ripetono campionamenti i quali, intenzionalmente e con una certa ossessività, tarlano come fossero una mente che rimugina. Torpedo è una corsa e durante l’ascolto è possibile che vi sentiate come un corpo che emerge dall’acqua per poi immergervisi nuovamente.  È un brano piena di tensione crescente che termina in uno schianto. Potrebbe essere il punto di vista del siluro che, certo di essere causa di morte per gli altri e per se stesso, va incontro al suo destino dritto, senza ripensamenti. 

Siel è un respiro malinconico. Cosa resta dopo la deflagrazione? Cosa vuole essere dimenticato e cosa, invece, pretende di restare?  Legs offre voci di piccoli umani estremizzate, stridule ma lontane, ponendo interrogativi sul rapporto che gli esseri umani hanno con la comunicazione. In Flare la voce di Matilde Davoli che accompagna il synth regala l’immagine di una esplosione a rallentatore, terribile e affascinate. Let Me Take a Last Dive è il capitolo conclusivo del racconto. È morbido, come la luce di un tramonto di settembre. È un sentimento indefinibile composto da malinconia e da qualcosa che si avvicina all’impotenza di fronte alla catastrofe e alle sue conseguenze.

“Ravot” richiede un approccio attento, non risolvibile in un singolo ascolto magari un po’ distratto. È un album ricco, pieno di ricerca musicale, storica e soprattutto umana. Particolare non di poco conto.

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