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Lee Ranaldo / Jim Jarmusch / Balázs Pándi / Marc Urselli – Churning Of The Ocean

2021 - Trost Records
sperimentale

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Tracklist

1. Infinite Rain 
2. Tectonic Mantle 
3. Quivering Air 
4. Night Of Webs 
5. Threshing Fields


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Il mio ideale di luna park sulle locandine reca i nomi di Jarmusch, Ranaldo, Pandi e Urselli. I loro nomi, nella fattispecie quelli dell’ex-Sonic Youth e del regista statunitense sono tra quelli che hanno formato i miei gusti, sia musicali che estetici, e non è poco. C’è stato un periodo della mia vita, parecchio difficile oserei dire, che i film di Jim visti a ripetizione di notte in notte, mi hanno rimesso in sesto e, al contempo hanno delineato tante passioni sonore, non ultima quella per Waits. Da quando poi lo seguo nelle sue incursioni suonate (che prediligo in confronto alle sue ultime tre pellicole) mi rendo conto ancor di più del percorso cinematico intrapreso anche in musica, in una creazione di mondi subalterni a quelli del grande schermo, sempre assieme a campioni di una realtà mai allineata, e qui non siamo da meno.

Se dunque Lee e Jim non hanno bisogno di esagerate presentazioni, non dovrebbero averne nemmeno Balazs e Marc, che di questa realtà sono protagonisti da un pezzo, il primo assieme a Merzbow, Keiji Haino, Venetian Snares, Eraldo Bernocchi e millemila altri della medesima caratura, il secondo dietro al banco mix di Zorn, Secret Chiefs 3, Patton e finanche i nostri Suburban Noise (Urselli, d’altronde, è cresciuto su suolo italico). “Churning Of The Ocean” è la seconda testimonianza dell’incontro del quartetto in studio, in incontri notturni che si trasformano in costrutti d’alienazione, in cui ogni membro è fondamentale alla resa finale.

Notturna la jam, notturno il suono, in uno squagliarsi infinito di suoni, con le chitarre annodate, spinte su lunghe strade di riverberi tendenti all’infinito, di quando in quando aggressivamente rumorose, ma mai in stato confusionale, roba perlopiù stralunata e stralunante, tra droni e arpeggi, corde picchiettate e tensione, singulti elettronici ed elettrici a scambiarsi di posto, sulla base di un interplay in cui la sezione ritmica è parte integrante del suono, spezza e astrae, si allunga e fa da contrappasso con tremore e quando necessario, tribaleggiando su sfrontate incursioni noise “rock”. I territori battuti sono quelli che ci si aspetta, senza lambiccarcisi troppo, e che si rifanno alla sovrascrittura di una forma aperta di jazz alieno che vive tra di noi da parecchio tempo, una sorta di colonna sonora che si sarebbe detta sperimentale, ma che ora è standard newyorkese vero e proprio, pur raccogliendo in sé il genio della mente di quattro estimatori del diverso.

Un ascolto da farsi obbligatoriamente a sole già calato da un pezzo.

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