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“Killing Is My Business…And Business Is Good!” dei Megadeth, l’ascesa dei nuovi dei

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Sei fuori! Dissero James e Lars. E Dave: Ah sì? Vedrete avrò una band migliore, la più tecnica e veloce mai vista! Ora, non sappiamo se le cose siano andate così nel 1983, o se le parole (fuck a parte) siano state queste. Ma la storia dei Megadeth ha inizio proprio dal divorzio tra i Metallica e la testa (calda) fulva Dave Mustaine. Non è un mistero che il chitarrista si drogasse in modo preoccupante all’epoca e i Four Horsemen probabilmente non ritennero più compatibile quella condotta con la linea della band, sebbene anche loro non fossero esattamente dei chierichetti, vedi il soprannome “Alcoholica”. 

Dave, spinto dalla rabbia, dopo l’esclusione, non perse tempo e si mise subito alla ricerca di musicisti che potessero appagare le sue elevate aspettative tecniche. In modo piuttosto bizzarro (vi rimando alla sua biografia ufficiale “Mustaine”), conobbe il bassista David Ellefson al quale si aggiunsero poi Gar Samuelson e il chitarrista Chris Poland, musicisti di livello dell’universo jazz. La corazzata era così completa e Dave era pronto a dare vita alla sua creatura: i Megadeth. Probabilmente, visto anche il suo caratterino, Mustaine sarà sempre stato consapevole che il suo gruppo avrebbe rappresentato una delle colonne del genere thrash e speed metal, ma per noi comuni mortali fu una graditissima sorpresa.  

Il primogenito della band fu proprio Killing is My Business… And Business is Good!, uscito nel 1985: la rabbia che per due anni aveva pompato nelle vene del chitarrista californiano esplose fragorosa in questo esordio. Grezzo, maestoso e spudorato, questo disco contiene tutti i preludi di ciò che la band sarebbe stata capace di dare alla luce in seguito. Una intro di tastiere apre Last Rites/Loved to Deth, un urlo selvaggio di MegaDave spezza l’idillio melodico e fa strada a riff esplosivi ed a ritmiche forsennate con diversi cambi di tempo. La maestosità della musica di questa band riflette a pieno lo stile e capacità tecniche magistrali e di composizione del leader e fondatore. La title-track brilla di virtuosa magnificenza: le chitarre vengono tirate e pettinate in riff magnetici e taglienti mentre Ellefson e Samuelson fanno un lavoro di martello ritmico che varia da linee più spezzate ad altre più dinamitarde e tipicamente thrash. La velocità esecutiva regna sovrana in tutti i brani con Mustaine e Poland che danno vita a vere e proprie cavalcate sulle sei corde come in Skull Beneath the Skin, traccia tra le più notevoli del disco: apertura con intro acida e veloce che, con un urlo di Dave, si trasforma in un riff portante che dà una struttura cupa e muscolosa al brano, incorniciato dalla precisione chirurgica del basso e della batteria.

Parentesi interessante è quella della celeberrima These Boots, deturpata versione del brano di Nancy Sinatra, che costò alla band una causa per aver storpiato il testo rendendolo scabroso ed osceno. Grazie ad una mezza vittoria legale, il brano venne inserito nel disco con un testo più moderato; sincerante sarebbe stato un peccato non averlo: sali e scendi di strumenti con chitarre impazzite, che nevrasteniche dipingono assoli imponenti e la voce del rossiccio frontman che deflagra tagliente e graffiante.

Signore e signori, per la prima volta, ecco a voi Vic Rattlehead! Mascotte simbolo della band di Mustaine e da lui stesso creata: un teschio con delle pacche metalliche sugli occhi a mò di occhiali da sole e dei copri orecchie di ferro con catene pendenti. Nella storia del gruppo, questo personaggio iconico rappresenta una sorta di antagonista ideale, in quanto veste, a seconda del disco, i panni di figure criticate e combattute nella musica della band, quali politici, militari o scienziati folli. La sua nascita viene omaggiata dal brano Rattlehead e anche qui l’headbanging non può che essere garantito.  

Ritmi elevatissimi e stop and go da spezzare il fiato imperversano in The Chosen Ones, traccia caratterizzata anche da un esplosivo assolo di quasi un minuto di MegaDave nella parte centrale del brano. In Chosen Ones, così come in Looking Down the Cross, il sound è crudo, brutale e sferzante, con una tecnica e una velocità di esecuzione straordinaria ed impeccabile. Tutte caratteristiche rappresentative di quanto i Megadeth siano stati in grado di donare al panorama della musica internazionale. Sì, perché quando parliamo di band come questa, non è da sottolineare solo il grande contributo al genere del metal estremo, ma anche a quello della musica in generale, viste le spiccate doti tecniche e compositive dimostrate in ben trentasei anni di militanza artistica.   

Capolavoro finale che conclude il disco è la sontuosa Mechanix: esplosiva, con la voce di Dave che toglie qualsiasi dubbio anche sulle sue doti canore: anche qui i ritmi sono serrati, pieni di variazioni e ovviamente le chitarre dominano con colpi di plettro energici e pesanti, dando vita all’ottava splendida cavalcata di thrash esplosivo destinata a diventare un grande classico della band. È noto che questo brano era stato scritto da Mustaine quando militava nei Metallica che, in “Kill’Em All” (1983), inseriscono il brano The Four Horsemen, un riadattamento ben strutturato dell’originale The Mechanix. Oltre a questa traccia il contributo e la penna di Dave sono inequivocabili nel lavoro di esordio della band di Hetfield.

Unica pecca di questo primo lavoro targato Megadeth è probabilmente la scarsa qualità dell’opera di produzione, che non sempre fa risuonare il metal possente del quartetto con il rispetto dovuto. Personalmente posso dire che la qualità della musica è così ruvidamente eccelsa da far passare quasi in secondo piano questo aspetto.

Così si conclude questo rude capolavoro iniziale della band californiana destinata a scrivere pagine e pagine di glorioso metal estremo; basta pensare a capolavori come il successivo “Peace Sells… but Who’s Buying?” (1986) o Rust in Peace (1990), dischi che ogni metallaro che si rispetti non può non conoscere. Sicuramente questa opera prima, oggi come ieri, non ha probabilmente avuto l’attenzione che meritava, eppure rappresenta una vera pietra miliare per l’evoluzione della musica metal. MegaDave è sicuramente un personaggio controverso che ami o odi, ma qualsiasi sia la nostra opinione in merito, rimane il fatto che è oggettivamente un’artista mastodontico a tutto tondo e i suoi Megadeth meritano di diritto il loro posto nell’Olimpo degli dei del metal.

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