Forse non lo sapete, ma ImpattoSonoro nasce nel lontano 2003 all’interno di una chat di IRC intitolata #mino, in onore di Mino Reitano. Non so onestamente spiegarvi il perché di questa scelta, ma sono sicuro fosse l’unica cosa da fare al momento. Una delle passioni comune di noi fondatori – siamo più o meno tutti ancora qui, a darci dentro nonostante la vita – in realtà però erano i Laghetto, si può dire anzi che ImpattoSonoro nasce in parte con e grazie ai Laghetto: uno alla volta tutti ci scoprimmo fan della band bolognese, che ancora oggi riteniamo abbia rivestito un ruolo di primo piano nel rilancio della scena HC italiana e in generale nello sviluppo di una identità alternativa sempre lontana dall’approvazione mainstream.
In tutto questo, tra le tante cose che ci facevano impazzire dei Laghetto c’era sicuramente il fatto che ad accompagnarli ci fosse un bizzarro personaggio che non suonava nulla e non cantava nulla, o meglio imbracciava una chitarra giocattolo e si dimenava sul palco come fosse la cosa più importante da fare. E non era una posa da una botta e via, intendiamoci, era sempre così. I Laghetto erano John D. Raudo – voce e chitarra – Ratigher – voce e basso – Gigei Ottone – batteria – e Tuono Pettinato – fake guitar. Anzi, il più delle volte Tuono Pettinato veniva perfino menzionato per primo nella line up. Perché nei fatti era così, Tuono Pettinato era un membro della band a tutti gli effetti, anzi, era un vero punto di riferimento, non solo per i Laghetto stessi, ma per tutta la scena hardcore italiana e per chiunque volesse approcciarvisi.
Tra le prime interviste che abbiamo pensato di realizzare non poteva ovviamente mancare quella ai Laghetto. Non poteva certo essere un’intervista qualsiasi. Invitammo infatti tutta la band a partecipare ad una chattata collettiva nel nostro #mino. Cercammo di mantenere un certo contegno, ma durò pochissimo, forse qualche minuto. Poi finì tutto in una splendida caciara, un delirio di cui potete leggere la trascrizione più o meno esatta qui, in questo documento per noi storico e imbarazzante, ma che stamattina abbiamo rispolverato, a quasi 18 anni di distanza, con un groppo in gola che ancora non si è sciolto. In un certo senso quell’intervista rispecchiava benissimo l’anima dei Laghetto, spontanei, deliranti, ma al tempo stesso profondi e in quell’anima c’era certo un pezzo bello grande di Tuono Pettinato.
Dieci anni dopo ci imbarcammo in un progetto mastodontico, che ci sembrava però davvero necessario. Un tributo ai Laghetto. Contattammo una trentina di band italiane, proponendo loro di rifare un brano della band bolognese. L’adesione fu stupefacente, l’entusiasmo di tutti ci stupì, anche e soprattutto perché proveniva da band e artisti dalla provenienza e dal background più disparati. Ne venne fuori una doppia compilation che era una dichiarazione d’amore per una band e per una scena che andavano di pari passo, che erano nei fatti una cosa unica. Ogni tanto ci piace pensare che il nostro tributo sia stato la celebrazione di un qualcosa di veramente grande, ma che da lì ha poi smesso di esistere se non nei ricordi.
E se è vero che Tuono Pettinato incarnava “il coraggio di non suonare”, che non è solo il titolo del cofanetto/discografia dei Laghetto sulla cui copertina campeggia la sua chitarra muta spezzata – a riguardarla ora fa stare male più di quanto non facesse già nel 2011 – ma anche un modo di essere, di vivere, una filosofia gigantesca che in molti dovrebbero seguire, era anche il tratto morbido, cartoonesco dei suoi disegni che spesso adornavano i booklet e le magliette della band, ma anche una serie di fumetti bellissimi. Stella nella galassia di quei Superamici di cui ha fatto e farà sempre parte. Mai allineati, il verbo punk in salsa comics. E perché, poi, allinearsi? “La massa è pirla. Non seguirla“.
Nelle sue vignette esisteva e resisteva un mondo altro, scevro di tutto lo schifo che invece sta in questo, una gentilezza fiabesca, mai scevra di una visione disincantata della realtà. Che parlasse di Garibaldi, in modo eccelso e più veritiero di molti altri, Alan Turing, Freddie Mercury, il felino Chatwin (“gatto per forza, randagio per scelta”, che batosta) o del piccolo Kurt Cobain, lontano dai mostri della sua età adulta, innocente e fuori dagli schemi del rock, o ancora chiamato dalla rivista “Linus” a scrivere di Paz, si dipingeva imbarazzato, impreparato, era sfuggente e burbero, teso al nero nel suo vestiario con maglietta con teschio annessa, e nel suo essere a metà tra le narrazioni lo rendeva emanazione di quel qualcosa di veramente grande che ormai esiste solo nei ricordi. Essere schivi per rimanere incisivi per sempre, questo era il suo alter ego su carta, i suoi racconti, il tutto.
È per tutto questo che la notizia della morte di Tuono Pettinato ci ha lasciato letteralmente senza parole, con un vuoto dentro che non è una frase di circostanza, credeteci.