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Back In Time

È una bella giornata, incontriamoci al cimitero: “The Queen Is Dead” dei The Smiths compie 35 anni

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Finalmente ho l’opportunità di scrivere un articolo su “The Queen Is Dead”, un disco di cui abbiamo letto tutto, ovunque, ogni anno se ne parla, se ne scrive, lo si ascolta tra vecchi cd, super ristampone in vinile eccetera.

Dico “finalmente” perchè “The Queen Is Dead” non è stato per me semplicemente una scoperta importante, è stato proprio fondamentale: è uno di quei dischi che, il più delle volte a tua insaputa, ti salvano la vita e te ne accorgerai anni dopo.

Non essendo stato un musicofilo bambino prodigio, quando uscì l’album non ne sapevo nulla poiché avevo 9 anni. Il miglior disco degli Smiths dovette attenderne altri 9 per arrivare alle mie orecchie di ragazzino alla ricerca della musica perfetta, del sublime. Ebbene, era il 1995 e andavamo in quattro neo-patentati a farci un fine settimana in montagna e guidando di notte il mio amico estrasse una cassetta registrata, avevamo già digerito litri di Stone Temple Pilots, Pearl Jam, Jane’s Addiction e mi gridò: “Smif! Smif!”(il mio amico ancora oggi fa fatica con l’inglese). Io, ignorando il suo suggerimento che sembrava più un verso onomatopeico, misi su la cassetta senza pensarci mentre sbuffavo fumo di sigaretta fuori dal finestrino. Il nastro non era all’inizio ma al punto della terza traccia del lato A, I Know it’s over.

Mother I can feel the soil falling over my head” Fu la prima frase che sentii cantare. Una delle strofe più toccanti e lancinanti, il terreno mi cade sopra la testa, sono perduto, madre. Sono in pericolo. Ed eccola subito: la fine, e la sento così vera. Come potevano delle strofe così cariche di surrealtà e umorismo andare così in profondità? Riavvolgemmo il nastro con l’intento di ascoltare tutto l’album mentre guidavamo nella notte e, anche se il mio amico non capiva una cippa dei testi, ad ogni frase toccante, ci guardavamo e sorridevamo.

L’elemento irresistibile era la voce di Morrissey e quel suo fare così indolente e distante e quelle frasi come“Her very Lowness with her head in a sling – Sua Bassezza con la testa in una fionda” Quale magnifica ribellione così superiore ed elegante, mi entrò dentro e non se ne andò più, perchè non si ribellava nel modo canonico che ci avevano illustrato fino ad allora, urlando, andando in giro per strada con fare indisponente bensì lo faceva cantando con il volto sognante di un Manchester boy e la grazia di Maria Callas, era il mostro della laguna ed era Cleopatra “mentre apriva una cassa di birra”, la creatura perfetta: una gracile mitragliatrice puntata contro lo spauracchio della banalità.

E no, ora che ho 18 anni e ascolto gli Smiths non mi potete toccare, tutto quello che ho subito fino ad allora, le prese per il culo, le matricole, le urla in faccia dei metallari, scappare dalle bande di quartiere con mazze di gomma piene di sassi, tutto scompare, tutta quella tensione rimasta dentro sparisce perchè Morrissey canta per me e per tutte le persone fragili mentre frantuma le gesta meschine di impauriti e aggressivi, li fa scomparire nelle tenebre e finalmente mi sento adeguato, per la prima volta sento di avere un posto e non mi interessano i vostri discorsi, francamente, io saltello mentre vi penso, una volta per tutte il mio sguardo si volge altrove per non incrociarvi più e per guardare invece all’ingiustizia della morte, o alle centinaia di persone “con le stesse mie passioni” come Keats e Yeats che “sono nati e han vissuto e sono morti prima di me” e vi dico che ciò non si può assolutamente accettare come fatto naturale e allora mi consumo l’anima che ho venduto all’industria perchè alla fine “la vita è molto lunga quando sei solo”.

Quindi chi è la Regina a cui Morrissey si riferisce? Non è semplicemente la Regina d’Inghilterra ma è l’Inghilterra stessa, è la condizione in cui versa il paese a rendere la vita degli inglesi sempre più dura, perciò non sono gli Smiths ma è l’ascesa della Thatcher a decretare che, appunto, “The Queen is Dead”.

E ancora: “To die by your side is such a heavenly way to die”. Questa, forse la strofa più celebre di There is a Light that Never Goes Out indicaancora una volta la fine che ci si prospetta davanti, come per dire: fin qui ho vissuto e l’ho fatto anche bene, tranquillo, con il mio sussidio e vicino a te che sei la persona con la quale voglio affrontare questa morte o, a questo punto, tanto vale “incontrarci alle porte del cimitero”, il posto dove ci possiamo riconoscere, perchè è lì che sto bene, è lì che noi due possiamo risuonare veramente.

E non c’è bisogno di attaccarmi perché “Stavo scherzando quando ti dissi che dovevi finire insanguinata nel letto” come recita in Bigmouth Strikes Again. Perché sarò anche una bocca larga ma stavo solo cercando di allontanare questa maledetta morte perché sono il “ragazzo con la spina nel fianco” ed ho semplicemente un desiderio di amore così grande e forte che potrei uccidere.

Per questo, dopo così tanta amarezza, ci vogliono dei titoli di coda leggeri dove l’unico concetto è la scoperta che “alcune ragazze sono più grosse di altre”. Non c’è altro. Sono solo parole. Quindi, sì, è morta, la vita come dovrebbe essere è morta. La vita è la vera Regina e la morte è il fulcro di “The Queen Is Dead”, una morte che non si può accettare, come esordiva Blanchot, non ci si abitua alla morte per cui come può far parte di noi? La morte è artificiale, la morte è un concetto inventato dall’uomo, “The Queen Is Dead” è un’opera sulla morte come evento innaturale.

E l’ascolto mi svegliò come da un sonno profondo, mi fece capire che la musica poteva venire a prenderti, poteva accudirti e capirti, poteva addirittura salvarti e farti capire che le idee sono libere e così gli uomini, magari sono oppressi e schiacciati da un sistema, non parlo della sofferenza, quella guai a chi ce la tocca, ma di un sistema disumano e opprimente ed è possibile prendere la decisione di scrollarsi tutto di dosso in qualsiasi momento della vita. Poi non è detto che le azioni prendano vita ma, per lo meno, ascoltando Never Had No One Ever ci si sente meno soli. Perché la morte interiore, quella sì che è inaccettabile e ci vuole, ogni tanto, l’ascolto di dischi come “The Queen Is Dead” per ricordarcelo. Questo è il suo potere salvifico.

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