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Napoli 90: la rivoluzione musicale dei figli di Partenope

Napoli, 17 marzo 1990. Circa cinquantamila persone si riversano per le vie del centro: sono o ragazzi che nei mesi precedenti hanno dato vita al movimento della Pantera, la più grande mobilitazione studentesca dai tempi del ’77. Il capoluogo campano è uno dei teatri più importanti della protesta, che a macchia di leopardo coinvolge molte facoltà italiane, esplosa in tutto il suo fervore contro una riforma – voluta dal ministro socialista Antonio Ruberti – che tra i tanti punti all’ordine del giorno aveva la riduzione dei collettivi studenteschi a mero organo consultivo e l’introduzione dei finanziamenti privati a beneficio di atenei ormai concepiti come aziende autonome.

Quella manifestazione sancisce la spaccatura definitiva tra le due fazioni contrapposte del movimento: quella moderata voleva sedersi a un tavolo e discutere con il Governo pronto a tenderle una mano, mettendo in conto di dover alzare bandiera bianca su alcuni punti cardine della protesta; i duri e puri, al contrario, mai si sarebbero arresi di fronte alle pressioni politiche. Quel pomeriggio, di fatto, la Pantera cessa di esistere, ma gli oltranzisti – il cui potere contrattuale nei vari consigli di facoltà è irrimediabilmente diminuito –spostano la sede del dibattito dalla piazza alle aule universitarie, spazi occupati e autogestiti, dove discutere di tutto ciò che gira intorno al mondo accademico e non solo.

© Sergio Ferraris

Napoli, d’altronde, è ribelle per indole, la rivolta è un carattere stampato nel DNA che giace nel sottosuolo del Vesuvio. Partenope, innamorata di Cimone, si ribellò al padre che la voleva in sposa a un altro uomo, approdando nella Città Nuova (Neapolis) in uno dei tanti miti sulla sua fondazione. Tommaso Aniello d’Amalfi – detto Masaniello – nel 1647 si ribellò all’eccessiva pressione fiscale attuata dai reali spagnoli. Così come i napoletani, dal 27 al 30 settembre del 1943, furono i primi a muovere la controffensiva nei confronti dell’occupazione nazista: a inizio ottobre le forze alleate trovarono una città già libera. I militari non poterono far altro che godersi le “bellezze” del posto, non a caso il genio di James Senese e Mario Musella – fondatori degli Showmen – è frutto dell’amore tra una donna napoletana e un militare americano.

La Napoli di inizio anni ’90 è molto diversa rispetto all’immediato dopoguerra. Le ferite del terremoto del 1980 non si sono ancora rimarginate, la camorra mostra i muscoli lasciando a terra decine di corpi all’anno, il malaffare politico sarebbe sfociato di lì a poco nel filone locale dell’inchiesta Mani Pulite. Sembra passata un’era geologica, tuttavia sono identici il fervore culturale e la voglia di partecipazione attiva alla vita sociale da parte dei napoletani.

L’Università Orientale diventa così un laboratorio politico, a Scienze Politiche si organizzano incontri a tema, la Sala d’armi di via Mezzocannone viene occupata ma poi sgomberata: è qui che nasce l’embrione del centro sociale che sarà Officina 99. Tra i capi fila della nuova occupazione ci sono Luca Persico, detto ‘O Zulù, e Gennaro Della Volpe, in arte Raiz. Sono studenti, ma anche musicisti: il primo fonderà i 99 Posse proprio nelle sale dell’Officina; il secondo darà nuova linfa al progetto Almamegretta, già attivo da qualche anno.

Officina 99

Gli accadimenti locali si incastonano in un contesto internazionale di non facile lettura. Dopo la caduta del muro di Berlino l’Unione Sovietica ha i giorni contati, un cronometro che scandirà i minuti che separano i vecchi blocchi statali dalla completa e unitaria ridefinizione del continente europeo. Gli Stati Uniti guardano compiaciuti, ma contemporaneamente si mettono a capo di una coalizione di oltre 30 stati, contro l’Iraq, dando vita alla prima Guerra del Golfo. Questo scenario geopolitico fa da preambolo al ribaltone politico italiano del triennio 1992/94, passato alla storia come il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica.

Tornando a Napoli, dalle aule universitarie ai centri sociali, il passo è relativamente breve. L’underground partenopeo racconta della nascita di diversi “figli” di Officina 99, primi fra tutti lo Ska di Calata Trinità Maggiore e il D.A.M.M. di Montesanto (a proposito: D.A.M. sta per Diego Armando Maradona, l’altra M è l’iniziale del quartiere). I centri sociali sono un mondo di libera espressione, dentro ci crescono attori e registi cinematografici e teatrali, i primi writers italiani – attraverso la fondazione della KTM crew del compianto Marcello Zemi, pioniere e mentore di Jorit – mentre sul piano musicale la scena muta radicalmente rispetto al decennio precedente.

Spazio D.A.M.M.

Gli anni ’80 sono stati dominati dalla world music dei Musicanova, dal songwriting a tinte dylaniane di Edoardo Bennato, dall’astro nascente del blues Pino Daniele, mentre dalla scena indipendente emergevano i Bisca, un gruppo partito da Napoli ma itinerante tra Firenze e la Francia.

Nei primi mesi del 1991, nel breve volgere di qualche mese, i paladini dello ska vesuviano pubblicano l’album “Il Topo”, fondano l’etichetta Statt e si uniscono all’onda che ormai è partita dai cancelli di Officina 99. Ad attenderli ci sono 99 Posse e Almamegretta: il tempo di organizzarsi che si parte per una serie di concerti, dalla quale viene fuori il disco live “Incredibile Opposizione Tour”. Intorno, oltre al disco dei Bisca, girano “Curre Curre Guagliò” di Zulù e soci e “Animamigrante” della band di Raiz.

Non è che l’inizio. La musica non è solo militante, talvolta manifesta la condizione post-adolescenziale di chi vive all’ombra di modelli, imposti dal mainstream, in cui ad un certo punto e in modo assolutamente naturale non si riconosce più. E’ il caso dei writers della KTM – di cui non vi ho ancora detto che la sigla è la contrazione di Ki Ta Muort – dalla cui costola nasce il filone rap. Vi fa parte Kaos, che di lì a poco uscirà con “Fastidio”, un disco in cui spiccano le basi composte da Neffa e i dissing contro i Sottotono, J-Ax e Jovanotti. Dalla KTM vengono fuori anche Polo e Sha One, con in mano prima le bombolette, poi un microfono: saranno gli artefici del progetto La Famiglia. Gli Almamegretta saranno poi una delle principali ispirazioni di Francesco Di Bella, che con i suoi 24 Grana mischierà il dub al rock.

Ma se da un lato il nuovo avanza velocemente, le generazioni precedenti non stanno certo a guardare. Ciò che un tempo furono gli Showmen e i Napoli Centrale, a inizio anni ’90 diventa un tentacolare miscuglio di idee e generi diversi. Pino Daniele pubblica “Un uomo in blues”, introdotto dal singolo ‘O scarrafone, trait d’union tra il passato di nicchia e il futuro internazionale del cantautore e chitarrista cresciuto in via Pignatelli a San Giovanni Maggiore. Tony Esposito invece si dà all’italo-disco con “Cambiamo musica”, che vanta collaborazioni con Eugenio Bennato e i Ladri di biciclette. Tullio De Piscopo, dopo qualche passaggio non proprio memorabile, si ripresenta nel 1995 al grande pubblico con una miscela di latin-jazz, funk e soul dal titolo “Zzacotturtaic” (provate a leggerlo al contrario). Sono anche gli anni di “Jesceallah” e “Ngazzate nire”, due dischi in cui James Senese fa ripartire la macchina dei Napoli Centrale.

In scia ai vecchi amici, un redivivo Enzo Avitabile pubblica il suo album omonimo, in cui per la prima volta alla solita (meravigliosa) world music fatta di soul e funk unisce elementi elettronici. E che dire degli altri veterani? Edoardo Bennato, reduce dalle Notti magiche di Italia ’90, incide sotto lo pseudonimo Joe Sarnataro il concept album a trazione blues “È asciuto pazzo ‘o padrone”, in cui racconta la storia dell’omonimo emigrante, partito per gli Stati Uniti diversi anni prima e in procinto di tornare a Napoli. Peppe Barra, in un certo senso il Giorgio Gaber napoletano, reduce dalle innumerevoli esperienze teatrali, oltre che musicali insieme alla Nuova Compagnia di Canto Popolare, nel 1992 incide “Mo vene”, la sua prima fatica discografica da solista, una delicata rappresentazione del genere teatro canzone in lingua.

Dulcis in fundo, questa storia non può che terminare con ‘E Zezi Gruppo Operaio, un collettivo formato da artigiani, operai e studenti che a metà degli anni ’70 aveva fatto confluire tutte le sue invettive in “Tammurriata dell’Alfasud”, un viaggio all’insegna del folk più primordiale nell’entroterra napoletano – nella zona di Pomigliano – dove si concentrano le maggiori contraddizioni di una politica votata all’industrializzazione, che in poco tempo ha sventrato una terra tipicamente agricola. Dopo quel disco il collettivo si scioglie, ma nel 1994 torna in grande stile con “Auciello ro mio ‘posa e sorde’”, un nuovo capitolo della lotta di classe, oggi arricchita dalla presenza del caporalato che sottomette gli extracomunitari.

Terminano i confini geografici di Napoli, non quelli della sua musica. Al pari degli artisti autoctoni, ce ne sono altrettanti non napoletani, talvolta stranieri, che alimentano il nuovo sound partenopeo. Il più noto napoletano nato da un’altra parte è Lucio Dalla, che già nel 1986 metteva in musica e versi il suo amore per la costiera con Caruso. Dai quattro angoli dello stivale vengono poi i Sangue Misto, nei quali figura quel girovago di Neffa, scafatese trapiantato a Bologna ma che per il suo esordio con “Neffa & i Messaggeri della dopa” vuole in squadra anche Speaker Cenzou e lo stesso Kaos. Oltrepassando i confini nazionali, in “Karmakoma EP” i britannici Massive Attack decidono di avvalersi della collaborazione degli Almamegretta per la versione The Napoli Trip

Sono ormai passati trent’anni dai primi suoni di quella rivoluzione vissuta a Napoli a partire dall’alba del decennio ’90, ma la storia non è finita lì. Quella scena ha consegnato al futuro nuove idee, forse ad un livello di veracità più basso, ma non per questo messe in pratica da artisti meno validi. I vari Rocco Hunt, Clementino, Luchè, ‘A67, 13 Bastardi, Foja, facendo un doveroso passaggio dalle parti di Liberato, sono i degni eredi di quella che nel frattempo è diventata la generazione precedente.

È inutile e deleterio mettere a confronto gli uni con gli altri, fanno parte di due epoche e modi di intendere la musica abissalmente differenti. L’universo che scorre sotto i loro piedi, al contrario, è sempre lo stesso. Napoli nel frattempo è un po’ invecchiata, non è più teatro di occupazioni e lotte a sfondo sociale. In compenso, la sua bellezza di oggi, grazie a quel fenomeno di globalizzazione post moderna che sono i social network, risplende immediatamente in tutto il mondo.

Discografia essenziale

Bisca – Il topo (1992)
Almamegretta – Animamigrante (1993)
99 Posse – Curre curre guagliò (1993)
Bisca 99 Posse Almamegretta – Incredibile opposizione tour (1994)
24 Grana – Loop (1997)
La Famiglia – 41° Parallelo (1998)
Kaos – Fastidio (1996)
Speaker Cenzou – Il bambino cattivo (1996)
Neffa – Neffa & i messaggeri della dopa (1996)
Pino Daniele – Un uomo in blues (1991)
Tullio De Piscopo – Zzacotturtaic (1995)
Joe Sarnataro e i Blue Stuff – E’ asciuto pazzo ‘o padrone (1992)
Tony Esposito – Cambiamo musica (1993)
Napoli Centrale – Jesceallah (1992)
‘E Zezi Gruppo operaio – Auciello ro mio posa ‘e sorde (1994)
Massive Attack – Karmacoma EP (1995)

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