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Blak Saagan – Se Ci Fosse La Luce Sarebbe Bellissimo

2021 - Maple Death Records
ambient / drone / post punk

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Tracklist

1. Convergenze parallele
2. Scuola Hyperion
3. Saltano le pecorelle
4. L’uomo incappucciato
5. Aperitivo al Bar Olivetti
6. Ore 9: Attacco al cuore dello Stato
7. Achtung! Achtung!
8. Dentro la prigione del popolo
9. La trattativa – La speranza
10. E lo spettro disse “Gradoli”
11. Lettera da Via dei Massimi
12. La firma del Legionario
13. Se ci fosse la luce sarebbe bellissimo


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L’ora del cantautorato politicizzato è suonata da un pezzo. Con l’approcciarsi della fine del Vecchio e l’inizio del Nuovo Millennio viene sostituita dal rumore, e da come esso, se contestualizzato, sarebbe riuscito a raccontare una storia. Anzi, una Storia. Quella terrificante e oscura della politica italiana, fatta di relazioni fedifraghe (cornuta fu la tanto decantata Patria) e nascoste, di misteri irrisolti, tanti, troppi, tutti, misteri alle cui conclusioni si arriva a fatica e non sono esaustive, men che meno ufficiali. Spesso chi sa, anzi, sapeva, si è portato tutto nella tomba. Scavare diventa sempre più difficile e, a mano a mano che il tempo passa, a nessuno pare più fregare di impugnare la pala e darci sotto.

Così come pochi sono quelli in campo istituzionale che se la sentono di parlare di quella Storia, così in musica si fa sempre meno riferimento a quello che è stato, e nemmeno in funzione di quello che è, perché, anche in questo caso, a chi importa? In questi anni a qualcuno è importato, di mantenere intatta la memoria, li conto sulle dita di una mano, nel mondo obliquo della musica non-allineata: Bologna Violenta e Fuzz Orchestra. Certo, altri hanno comunque messo il becco vicino al vespaio, ma nessuno lo ha narrato senza narrarlo, ovvero, senza utilizzare parole e, in alcuni casi, usando quelle di altri. Registrate. Messe in loop. Coperte di rumori di ogni sorta. Più descritte che riportate. A questo esiguo, ma cionondimeno importante, si aggiunge oggi Samuele Gottardello e lo fa usando il nome Blak Saagan.

La tragedia di Aldo Moro è un gorgo che ancora risucchia la luce che ha investito l’Italia durante gli Anni di Piombo, sempre ammesso che di luce si possa parlare. Le tenebre aleggiano ancora su una delle pagine più nere della Storia della Repubblica, nebbie che non vogliono diradarsi, gettando lunghe ombre in lungo e in largo, indietro e avanti nel tempo, e se ancora qualcuno ne parla un motivo ci sarà. È importante lo si faccia. Blak Saagan, dopo essere stato nello spazio col suo primo album, torna sulla Terra e si confronta con la realtà, una realtà che ha l’odore delle ferite aperte e che non vogliono rimarginarsi. “Se ci fosse la luce sarebbe bellissimo” è la frase estrapolata da quella che è comunemente intesa come l’ultima lettera dell’ex-Presidente del Consiglio e di quella DC che guardava da una parte al compromesso storico, dall’altra all’oscurità peggiore che si potesse anche solo immaginare, ma è anche il titolo perfetto per l’album, una speranza che tutti covano nel cuore, forse illudendosi.

Il viaggio è cronaca della vicenda, come dicevo prima non la racconta, bensì l’accompagna perché tutte le cose dell’umana specie, anche le peggiori, ogni vicissitudine ha una sua colonna sonora. Deve averla. Le macchine analogiche che Samuele chiama in causa vanno a formare il suono dell’odissea Settantiana, impregna l’aria di terrore e tensione (le parole chiave che non vorrei dover usare), prende l’elettronica occulta e la fa volteggiare al di sopra dei personaggi, le BR, Moro, il Legionario Giustino de Vuono, Romano Prodi e la sua ridicola seduta spiritica, i servizi segreti e i tedeschi, si muove nei luoghi tra via Fani, il Bar Olivetti, via Massimi 91, “la prigione del popolo” di via Camillo Montalcini e il luogo della fine, vicino a piazza del Gesù. Sintetiche visioni di speranza e morte si fondono, camminano con lentezza e poi si dilatano, bassi pesanti (nelle mani di Lilian Chansard e Diego Pasini) si stagliano all’orizzonte donando una lucidità post-punk, che proprio di quegli anni e di quei sentimenti fu suono imperante, a frastagliate lune storte elettroniche, a passo pesante nell’occulto che si disperde raggelante.

C’è tutto il peso del dolore, di una solitudine disarmante e armata. Sembra di essere lì, un attimo prima del crollo di tutto, tra i volti di chi c’era in un modo o nell’altro, la new wave si tinge rosso sangue e cola dalle casse, si sentono le sirene in onde quadre, il freddo della cortina di ferro che si abbatte in suoni aspri che si insinuano e fanno male, operano tagli in loop per poi allentarsi e per tornare contratti e difficili, saltano e piombano dall’ombra, sono in divenire, tra sacralità aurea e antri innominabili, si tuffano nell’oriente misterico ed eccoli tornare ai piedi del Muro di Berlino in rarefazioni instabili.

Se il ricordo della Storia è importante, altrettanto lo è che esistano album come “Se ci fosse la luce sarebbe bellissimo” perché non c’è metodo migliore di fissare qualcosa nella mente, soprattutto oggi, che prendendoci del tempo per ascoltare, rimembrare, immaginare.

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