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Lustmord & Karin Park – ALTER

2021 - Pelagic Records
ambient

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Tracklist

1.Hiraeth
2.The Void Between
3.Perihelion
4.Twin Flames
5.Entwined
6.Kindred
7.Song Of Sol
8.Sele


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Lustmord è il Gustav Doré della musica”. Con queste parole Karin Park dona la perfetta definizione del potere descrittivo di Brian Williams. Come le litografie del Doré le composizioni del musicista gallese sono tratti che giocano col chiaroscuro e i contrasti che narrano per immagini viaggi allucinanti in mondi superni (che siano quelli di Dante, Poe o Milton) la cui oscurità latente viene pian piano in superficie. Park e Williams assieme sono l’atto finale di tale capacità, ordendo “ALTER”, che di oscurità si nutre e imbocca chiunque vi s’avvicendi.

Dall’impianto non dissimile a quello che già fu di “The Word As Power” ma con una linearità che là mancava – pur non difettando di bellezza – il duo agisce in una sincronia materica e spirituale che si bilancia nella trascendenza dei brani, quasi fossero perle meditative. Il disco si dipana in sospensione atemporale, anzi, ciò che si percepisce è dicotomia tra le macchine (presente/futuro) e voce (passato remoto), colonna sonora ideale di racconti di archeologia misterica e musica sacra contemporanea, per religioni aliene. L’avvicendarsi dei fraseggi di voce sulle piane ombrose dei synth è dispiegamento dell’ambience, come se ogni melodia distendesse il tempo, srotolandolo e, una volta liquefatto, lo facesse ripiegare come una marea notturna sulle cui acque si riverberano eco lontane di organi spettrali

Il minutaggio abbondante diviene invisibile, la divisione in singoli brani è mera utilità. Se Lustmord seguita ad evitare l’inserimento di ritmo lo fa perché a scandirne l’ascesa è la quasi totale assenza di vocali nelle linee di voce di Park, che spinge sulla tonalità (non vi stupite se verrà a memoria Beth Gibbons alle prese con Górecki), sul colore del disegno più che sul tratto che, ad ogni modo, si delinea a pennellate forti, marcati dalla cadenza e dal movimento, navigando con sicurezza nei tetri scenari architettati dal gallese, faro e unica luce nell’oscurità.

Non paga d’aver contribuito alla creazione di uno dei dischi più belli usciti finora (mi riferisco ovviamente a “Norwegian Gothic” dei suoi Årabrot) Karin Park è parte integrante di un altro lavoro che non manca di lasciare stupefatti. Benché “for fans only” di certi Dead Can Dance o dei lavori solisti di Jarboe, l’album in cui lei e Lustmord appongono la firma è di una bellezza sconcertante. Impresa non semplice, per album come questo, spesso capaci d’incartarsi nei loro primi cinque minuti.

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