1. Difficult Machinery2. Singularism
3. Political Apathy
4. Honesty (I Don't Wanna Know)
5. Life Is a Time Consuming Experience
6. Château Guitar
7. Same Old Argument
8. Surrounding Structures
9. Downside (I Wanna Know)
10. Chullachaqui
Quando in cuffia passano drum machines, vecchi sintetizzatori e vocione alla Ian Curtis vi sciogliete come dei polaretti abbandonati al sole? Se la risposta è sì, non fatevi sfuggire “Surrounding Structures”, debutto dei francesi Veik per Fuzz Club, label londinese calamita per tutto ciò che in Europa profuma di vintage e underground.
Fin dal primissimo ascolto collochiamo il sound dei tre di Caen in un universo ben preciso, che da un lato omaggia l’avant-garde degli anni Settanta – post-punk, no wave o krautrock che sia – mentre dall’altro approccia timidamente un’interessante cerchia di contemporanei, dai Beak> ai Cavern Of Anti-Matter (per motoricità e tinte vintage), dai Suuns agli Snapped Anckles (per urgenza dance-punk e sonorità distopiche).
Parlando dell’album, Boris Collet (batteria/voce), Adrien Legrand (sintetizzatori) e Vincent Condominas (chitarra/basso) ci informano che si tratta di un lavoro “pesantemente influenzato da certi spazi architettonici”, come suggerisce il titolo stesso. Si riferiscono all’architettura modernista/brutalista scoperta dalla band durante le varie tournée in Francia, Germania e Belgio a supporto di The Soft Moon, Tomaga e Vanishing Twin.
Un approccio, quello modernista/brutalista, che sembra affascinare diversi artisti ultimamente, dagli IDLES ai The Drums passando per il conterraneo Flavien Berger, e che percepiamo nettamente nei bassi abrasivi di Singularism e nell’ode ad Alan Vega e ai Suicide che è Honestly (I Don’t Wanna Know), per non parlare poi delle dissonanze pseudo-techno di Château Guitar, vicinissime al sound dei sopracitati Suuns.
I momenti più memorabili di “Surrounding Structures”, però, si trovano altrove: nel proto-punk tinto di drone dell’opener Difficult Machinery, che strizza l’occhio a Faust e Velvet Undergroud, nella suite dadaista Life Is A Time Consuming Experience, e soprattutto in Political Apathy, vera perla del disco, che ci seduce con un robotico climax a base di drum-machines e sintetizzatori.
Per noi, pur suonando ancora acerbi, i Veik non falliscono nel loro ambizioso intento, ovvero omaggiare con organicità e savoir-faire un sound tanto influente quanto “di nicchia”. Una buonissima prima prova e l’ennesimo prodotto di qualità firmato Fuzz Club Records.