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“Tidal”, le strategia di sopravvivenza di Fiona Apple

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Gli occhioni da cerbiatta di Fiona Apple sulla copertina di “Tidal” non dicevano niente riguardo la sua età.Partiva il rap nervoso di Sleep To Dream e quella voce roca e quei testi ruvidi da donna vissuta li avresti detti schizzare dai cento e passa anni di una Marianne Faithfull piuttosto che da una ragazzetta di ritorno dal ballo di fine anno.

Fiona Apple sgusciava dal nulla ma chiunque avrebbe colto lo smisurato talento di quella sullen girl persa in un bosco di solitudine che a soli diciotto anni si trovò a registrare per la Sony un album che era un agguato alle convenzioni pop della musica fatta da post adolescenti per post adolescenti: “Tidal” brulicava di sofferenza e insofferenza, era il dolore del passato che fuoriusciva nel presente, erano i ricordi incisi nel corpo e nell’anima.

Fiona Apple non fuggiva dal dolore, nemmeno cercava di mettere la sordina alla memoria, semmai cercava nella pericolosa onestà della sua scrittura una prospettiva catartica, se non proprio un sollievo.”Tidal” strappava le confessioni di una giovane donna per darle in pasto ad un pubblico all’epoca particolarmente bramoso di segreti, bugie e cantautrici con l’anima spezzata. Più Laura Nyro che Joni Mitchell, la giovane newyorkese padroneggiava la tradizione della canzone d’autore al femminile allargandone il perimetro e aggiornandola ai tempi di MTV: un pò quello che aveva fatto Tori Amos con lo splendido “Little Earthquakes“, arrivato qualche mese prima e da subito punto di riferimento e pietra di paragone.

Le canzoni della Apple piovevano come una rivelazione, e dentro “Tidal” c’erano ballate per pianoforte brillanti e impetuose, un fluire magmatico di ansie e inquietudini, di rabbia e tormenti. Criminal traboccava di selvatico erotismo giovanile, era dannata e perversa come un blues, confessava crudeltà e tradimenti e si portò a casa il Grammy Award per la miglior interpretazione rock vocale solista, mentre lo sguardo voyeuristico della clip relativa, diretta da Mark Romanek, vinse per la categoria Migliore Fotografia agli MTV Video Music Awards del 1998.Alla prima uscita, la giovane pianista aveva già trovato la sua voce impastando ribellione rock e calore soul, eleganza jazz e freschezza trip-hop.

Fiona Apple era una angry young woman che si lasciava sbirciare dal buco della serratura immersa nella sua vasca di dolore: a dodici anni aveva subito abusi sessuali da uno sconosciuto (“You raped me in the same bed your daughter was born in..”, canterà poi), e la sua voce scolpita dal dramma, quando intonava Sullen Girl e Never Is A Promise, evocava il coraggio di una Nina Simone e veniva fuori il desiderio d’innocenza: davanti allo specchio, con tutto il suo carico di risentimento, toglieva il make-up e si mostrava in tutta la sua fiera vulnerabilità.

Tidal” sembrava una strategia di sopravvivenza anche se non tutto era oscurità e rimpianto ( per dire, Pale September e Slow Like Honey erano dolci e romantiche), ma il meglio veniva fuori quando la marea emotiva saliva, come in Shadowboxer, un jazz obliquo e irrequieto su una relazione finita, con quella voce che era una lama calda pronta a farti a fette il cuore.

Coi suoi tre milioni di copie vendute nei soli Stati Uniti, Fiona Apple portò gli strascichi dei suoi incubi in quel mainstream che presto le sembrò una gabbia e dal quale iniziò a scappare inseguita dalle sue stesse contraddizioni.

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