Impatto Sonoro
Menu

Speciali

Guilty Pleasures #3: Piero Pelù, Carl Brave x Franco126

Secondo la teoria della dissonanza cognitiva di Festinger, quando gli individui si trovano di fronte a cognizioni che sono psicologicamente incoerenti tra loro, provano uno stato motivazionale spiacevole, detto dissonanza cognitiva. Maggiore è lo stato di dissonanza e maggiore sarà la tendenza dell’individuo a ridurla: cambiando il proprio comportamento, cambiando l’ambiente oppure cambiando il proprio mondo cognitivo, ossia convivendoci. Guilty pleasure, ossia piacere proibito. Con questo anglicismo si indica la fruizione di un contenuto (musica, film, libro, etc) che amiamo ma che al tempo stesso ci dà vergogna.

Un concetto che da queste parti abbiamo rispolverato a più riprese e nelle più svariate forme è quello dell’ascoltare un disco pop senza vergognarsene affatto, o meglio, dell’ascoltare un disco pop in quanto tale senza vergognarsene affatto. Pare non esserci tutta ‘sta gran differenza tra le due locuzioni e invece c’è, ed è pure bella grossa.

Negli ultimi anni, per intenderci quelli dello tsunami retromaniaco che abbracciamo tutti senza distinzioni, abbiamo assistito ad un’enorme quantità di scoprialtarinismo alternativo da far spaventare il più inveterato dei musicofili. Cosa intendiamo con il summenzionato neologismo forzato? Semplicemente il modo mostrato da certa intellighenzia webzinara – anche se ci sarebbe da tirare in ballo ognuno di noi senza distinzioni – nello svelare a tutti i propri cosiddetti dischi GUILTY PLEASURE che fino a una decina d’anni prima erano nascosti dietro a decine di album ultra-occult punk rock, neopagan-rap, techno-coreblaster, grind-dance-jazz e psych-metal-post-pifferazzi. Tutti dischi per lo più sconosciuti o lì lì per esplodere ed essere inglobati nel mainstream tritatutto, ma che intanto all’epoca (qualsiasi essa fosse), non s’inculava nessuno tranne te, due amici come te e il tuo rivenditore di dischi di fiducia, che era come te. Però, dietro quelle pietre miliari dell’oscuro sottosuolo mondiale, ecco fare capolino quello che tu e i tuoi amici punkammetalalternativejazzdiy non avreste mai ammesso d’ascoltare in pubblico, con tanto di abiura ufficiale se sgamati in pieno a canticchiare quella canzonetta là sentita su MTV o su una qualsiasi radio generalista.

Il concetto di “piacere proibito” è andato via via squagliandosi quando la suddetta compagine internet non è più riuscita a trattenersi, pubblicando sui propri profili proprio quei brani pubblicamente ripudiati tanti anni prima e facendo uscire gli occhi dalle orbite a quei due amici là, che per giunta ti hanno beccato a fischiettare Oops!…I Did It Again. Come fare, a questo punto? Gettare la maschera e mandare a fare in culo quei gran rompipalle dei tuoi sodali integralisti ammettendo finalmente che, sì, a te Britney Spears fa volare nonostante le manchi tutto il sostrato cultural-sperimentale dei Can, e insomma sia una roba per teenager ma che balli anche durante i primi tre secondi di un suo pezzo oppure celare il proprio amore per il pop più “spregevole” sotto tonnellate di paroloni altisonanti, cercando una profondità tipo Fossa delle Marianne ma culturale in album che sono per definizione più forma che sostanza, applicandovi etichette bestiali che, mammasantissima, non sarebbero credibili nemmeno se a tesserne le lodi fosse il redivivo Lester Bangs oppure Julian Cope in persona?

Noi non abbiamo mai avuto dubbi su quale dei due fronti appoggiare e con alterigia lo diciamo a chiare lettere proponendovi mensilmente quelli che sono i nostri Guilty Pleasure, vergando di volta in volta le pagine del “Malleus Maleficarum del pop in quanto tale”, senza tanti giri di parole né il bisogno di schermirci dietro a vuote filosofie dove la filosofia non attecchirebbe neppure provandoci per eoni.

Due dischi per volta, senza vergogna alcuna, invitandovi a farlo voi stessi. CONFESSATE I VOSTRI PECCATI, ERETICI DEL VERBO ALTERNATIVO!

Piero Pelù – Né Buoni Né Cattivi

(di Fabio-Marco Ferragatta)

Per quelli della mia età (35) nella nostra adolescenza i Litifba erano quelli di “Infinito”, che con i singoli Vivere il mio tempo e Il mio corpo che cambia ammorbanti e lanciati in una heavy rotation talmente tanto heavy da potercela legare al collo per lanciarci nel vuoto. Insomma, belli, ma che due coglioni; invece Piero Pelù era quello là che era comparso a Mai Dire Gol al fianco di Giovanni/Johnny Glamour. La scoperta dei dischi della Trilogia sono arrivati poco dopo, ma intanto l’anno successivo, ovvero il 2000, il vento era già cambiato e per Piero Pelù i Litfiba erano già storia ampiamente passata. Ma come? Noi scopriamo “17 Re” e “Terremoto” e voi siete già alla frutta? E l’impegno politico, la poetica? Avete fatto incazzare anche Elio e le Storie Tese! Credo che in quel momento a Pelù di scrivere roba impegnata non passasse nemmeno per l’anticamera del cervello, ma di smettere i panni del rocker zozzone che anziché shockare tutti si divertiva a far girare le palle ai vecchi fan calcando il palco del Festivalbar in un bel playback mostruoso e buttandosi di testa e tutto per pubblicizzare il suo primo solista “Né buoni né cattivi”, che ormai era frutto di una voglia di passaggi televisivi e noi dietro come dei cretini. Ma è figo come coi Litfiba, ci chiedemmo? Ma figurarsi, cazzo, tanto loro nel mentre presero a bordo un cosplayer dell’ex-cantante con un decimo della sua verve e davano alle stampe un disco di rara bruttezza (“Elettromacumba” e io, da bravo scemo, lo comprai pure). E intanto tutti a cantare come dei coglionazzi Toro Loco, Io ci sarò e Bomba Boomerang (un mio amico che al tempo sfoggiava una criniera invidiabile lo imitava alla perfezione esagerandone la già eccessiva gestualità tant’è che il soprannome Piero perdura fino ai giorni nostri), mentre vedevamo i fan della band toscana confabulare tra loro chiedendosi se avrebbero potuto godere di questo solista oppure defilarsi tenendo fede al gruppo nonostante gli scarsi risultati. Ma attorno ai tre singoli c’era tutto il disco, e potete scommetterci che comprai pure questo – salvo venderlo assieme a quello dei suoi ex in tempo record – ed era in pratica una copia di quanto fatto poco prima altrove, ma non allo stesso livello, e dunque il risultato era spassoso, tanto da farmi credere che stesse scherzando, dai, “Homo Europeus più forte di Zeus”, ma tutte le sporcaccionate funk e i flauti sparati a caso, i fischietti e l’essere scontatissimo di Pelù lo resero un ascolto fisso. Ma di nascosto, che la vergogna era tanta. E ora scusate ma devo andare a mettere su Big – Bug e quella assurdità di Bomba Boomerang. Sono vecchio, non ho più nulla da nascondere.

Carl Brave x Franco126 – Polaroid

(di Fabio Gallato)

Partiamo subito con un assunto tanto forte quanto fondamentale. “Polaroid 2.0” di Carl Brave e Franco126 è il miglior disco emo italiano degli ultimi temi. Sì, lo so, sento già le sirene in lontananza, i medici armare le proprie siringhe e una camicia di forza stringermi in una morsa definitiva e insopportabile, ma non mollo. Sono barricato in casa e urlo dalla finestra come un mantra misterioso e ipnotico tararì tararà e la situazione non fa che peggiorare. Mi chiedo come sia possibile che gente dotata di un minimo sindacale di intelligenza non urli al mondo “ehy Fine Before You Came, Gazebo Penguins, Raein, Lantern e amici vari! scansatevi e prendete appunti!”. D’altronde, una tripletta d’apertura come Solo guai, Sempre in due e Polaroid loro se la possono solo sognare. C’è tanta malinconia in questo disco, nostalgia a palate, storie di amicizie e relazioni finite male, fallimenti personali e piccole tragedie quotidiane. In effetti, vedete, sono gli ingredienti di un qualsiasi disco di una qualsiasi delle band citate sopra. Scacco matto. Il fatto che a cantare siano due cialtroni più affini al mondo del pop e della trap che a quello della SCENA lo rende forse meno dignitoso? Questo lo lascio decidere a voi. Io, dalla cella del reparto di psichiatria dalla quale vi scrivo continuo a canticchiare con un sorriso beffardo bagnato da una lacrima:

E c’avrei scommesso su noi due
Una vita intera sempre in due

E c’avrei scommesso su noi due
Invece ognuno per le sue, aha“.

Questo disco mi ha rovinato il cervello.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati