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“Kicking Against The Pricks”, e calci in culo da Nick Cave and the Bad Seeds a chi spera ancora in qualcosa

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Si fa presto a dire “l’album di cover”. Questo non è il classico “album di cover” che le band fanno, magari per onorare gli impegni contrattuali con la casa discografica, essendo a corto di idee originali. Oddio, magari è proprio questo il motivo per cui Nick Cave and the Bad Seeds lo hanno fatto. Non è dato saperlo. Perché su “Kicking Against the Pricks” non è che si trovi molto in giro da leggere. Sul web, o persino nella biografia cartacea di Nick Cave in mio possesso, sono poche le righe dedicate alla terza opera della band guidata dall’australiano. Alla fine è solo un “album di cover”, dicono.

Eppure, chi conosce un po’ la discografia della band, sa che non bisogna fidarsi delle loro cover. Lo sapevamo già da Wanted Man di Bob Dylan, apparsa nel precedente LP, “The Firstborn Is Dead”, tanto per fare un esempio. Il punto è che Nick Cave and the Bad Seeds non fanno “cover”, tutt’al più fanno “riletture”.

Conoscete, vero, Hey Joe di Jimi Hendrix (che poi manco è sua)? Beh, scordatevela, perché “i semi cattivi” ne hanno fatto tutta un’altra roba. Per loro è una marcia funebre: d’altronde, di che parla la canzone se non di un omicidio, anzi di un femminicidio, peraltro a sangue freddo e premeditato? C’è poco da stare allegri come Willy DeVille, che la faceva con i mariachi; o da mettersi a svisare intensamente come faceva Jimi. A parte questa canzone, tra quelle contenute in questa raccolta, erano a me pervenute giusto Long Black Veil, nella versione di The Band e All Tomorrow’s Parties, dei Velvet Underground. A quest’ultima traccia vengono qui assegnati un tiro e un’epica che gli scazzatissimi Nico, Reed e Cale si sognavano.

Dopo di che, vai con: Muddy Water di The Seldom Scene, nota (?) band di “Progressive Bluegrass”; I’m Gonna Kill that Woman, del (davvero) noto maestro del blues, John Lee Hooker; Sleeping Annaleah, a sua volta una cover che Tom Jones fece di un pezzo folk; The Singer, che per il (certamente) grande Johnny Cash era “The Folk Singer”; By the Time I get to Phoenix, del cantautore country “multi-platino”, Jimmy Webb; The Hammer Song, degli scozzesi The Sensational Alex Harvey Band; Something’s Gotten Hold of My Heart, pop-hit portata al successo da tale Gene Pitney negli anni ’60; Jesus Met the Woman at the Well, un gospel tradizionale; The Carnival Is Over, folk russo tradizionale del diciannovesimo secolo, riarrangiando la quale gli australiani The Seekers pare si siano arricchiti negli anni ’60.

Insomma, in quel 1986, la band ha coverizzato diversi artisti che oggi chi se li fila, a meno che non sei un ultra-settantenne che magari vive in Arkansas o nelle campagne australiane. E meno male che c’è l’internet perché altrimenti tutte queste info su di loro chissà dove le trovavo. Info che forse importano solo a me e a qualche altro nerd che mi sta leggendo. Nick Cave, lui, aveva i suoi motivi, quando ha selezionato le canzoni da fare:

Sono state fatte tutte per ragioni diverse. Fondamentalmente è stata fatta una lista di canzoni e abbiamo provato a suonarle. Abbiamo provato canzoni di The Loved Ones e The Saints e di varia gente che non sono mai state registrate. Alcune canzoni erano tributi, come la canzone di Tom Jones; altre canzoni non pensavamo che la canzone fosse mai stata fatta particolarmente bene in primo luogo. Alcune canzoni avevano in qualche modo tormentato la mia infanzia, come “The Carnival is Over”, che ho sempre amato

Ora, se sapete una cosa o due del nostro eroe, sapete anche che lui s’impossessa delle cose e le fa sue, le adatta all’universo da lui creato. Persino quando rifà una canzoncina pop, o un gospel tradizionale, questi perdono tutta l’intenzione originale. Cave, anche quando canta “Tu sorridi e io sono perso per il resto della mia vita” (da Something’s Gotten Hold of my Heart) riesce ad essere minaccioso. Riesce a farti sentire l’ansia, la tragedia più o meno imminente, che aleggia nella vita di questo innamorato.

“Oh amore mio, l’alba sta arrivando / E le mie lacrime sono pioggia scrosciante / Perché il carnevale è finito / E potremmo non vederci mai più” (da The Carnival is Over). Come avrebbe potuto il nostro eroe non innamorarsi di una canzone d’amore così tragica, eppure sdolcinata? Un dolciume di cui qui nella sua interpretazione non c’è traccia, sia chiaro.

Insomma, la tragedia qui è dappertutto, come nei precedenti dischi della band, o nei successivi. “Mary, prendi il bambino, l’acqua sta salendo / La palude si sta riprendendo la terra” (da Muddy Water). E Cave ce la racconta con la solita, cupa, rassegnata disperazione; la religiosa accettazione di un Dio cattivo, quello del vecchio testamento, che a lui tanto piace, da cui viene il versetto che dà il titolo al disco: “dare calci contro le punte”, ossia ostinarsi inutilmente e masochisticamente a contrastare una forza superiore. Come chi si ribella al Dio cattivo di Nick Cave, al destino di merda a cui nessuno di noi può sfuggire, nella poetica caveiana. Almeno quella di quegli anni visto che, ultimamente, la star australiana, malgrado il destino di merda che lo ha colpito, pare come più ottimista.

Il Dio del Vecchio testamento sembrava crudele e rancoroso e mi piaceva il modo in cui spazzava via intere nazioni per capriccio…..E perché l’uomo non dovrebbe essere nato per soffrire, dovendo vivere sotto la tirannia di un simile Dio? Così la sensazione che ricavavo dal Vecchio testamento era quella di un’umanità misera che soffre per volere di un Dio dispotico, e ciò iniziò a pervadere la composizione delle mie liriche

Nick dixit.

Prendete Jesus Met the Woman at the Well, un gospel che narra la storia della Samaritana, così come riferita nel Vangelo secondo San Giovanni. La storia di una donna poligama a cui Cristo va a rompere gli zibidei quando la incontra al pozzo, per convertirla e “salvarla”. Confrontate i testi di Nick Cave and the Bad Seeds con quelli tradizionali che potete trovare su Wikipedia: “Lei se ne andò di corsa, piangendo / E disse, whoa, whoa, whoa, tu devi essere il profeta”. La Samaritana di Cave scappa e piange,è una donna terrorizzata dall’incontro con il profeta; altro che “salvata”, come quella del Vangelo e del gospel originario, uno stile musicale che in genere trasuda gioia. D’altronde come si può non essere terrorizzati se sei una donna di duemila anni fa (pro-memoria: non c’erano i social) e ti appare uno sconosciuto che sembra saper tutto del tuo stile di vita promiscuo?

Insomma, questo che oggi compie 35 anni non è un album di cover. Però sono calci, sì; i nostri “calci contro le punte” e anche gli ennesimi calci in culo che Nick Cave and the Bad Seeds assestano a chi trova ancora qualcosa in cui sperare, che sia nell’amore romantico e “per tutta la vita” delle canzonette pop, piuttosto che nella “salvezza” promessa dal Vangelo e dalle religioni in generale.

p.s.: Ah, ci sono anche le bonus track: Black Betty, cover del grande bluesman Leadbelly resa famosa dai Ram Jam (anzi, che ha reso famosi i Ram Jam). E Running Scared, di Roy Orbison. Le trovate nella versione CD di “Kicking Against the Pricks”, oppure nella compilation “B-sides and Rarities”. La prima è la più notevole e avrebbe meritato una inclusione a pieno titolo nell’opera. Niente schitarrate qui, solo le urla e i mugolii blues di Cave, sostenuti da rumorose percussioni e un testo che divaga assai dall’originale, andando nella direzione inquietante che più piace al nostro: “Black Betty ebbe un bimbo / Quel dannato coso era pazzo / Black Betty se ne fregava / Quel dannato coso era cieco”.

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