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Deafheaven – Infinite Granite

2021 - Sargent House
shoegaze

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Tracklist

1. Shellstar
2. In Blur
3. Great Mass Of Color
4. Neptune Raining Diamonds
5. Lament For Wasps
6. Villain
7. The Gnashing
8. Other Language
9. Mombasa


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I Deafheaven che giocano coi colori, gli stessi e con lo stesso impulso di quanto fecero con “Sunbather” e la sua copertina rosa che fu discordia tra tutti coloro troppo attaccati a chiodo e borchie per capire come stavano le cose, e come sarebbe stato il futuro (ma se per questo pure il passato), gli stessi che ora virano su un’altra tonalità, quella del blu, e che abbandonano ciò che erano per divenire nuovi, per creare “Infinite Granite”.

Forbici scintillanti recidono il cordone ombelicale che legava i californiani alla grande madre del black metal, che loro stessi hanno contribuito a cambiare, rovesciandone le regole, o meglio, traducendole in linguaggi distanti ma che già giacevano sul fondo del sepolcro scoperchiato più di un decennio prima della loro venuta nella lontana Norvegia. Atti di fede verso se stessi e verso il proprio Io interiore, pronto a emergere alla luce di un mondo sull’orlo del baratro. Come già fecero gli Ulver prima e gli Alcest poi (il loro trampolino, rimasto unicum, fu lo splendido “Shelter”), i Deafheaven compiono il salto librandosi in una realtà fino a questo momento carezzata e interpolata in un altro sistema operativo, e se vogliamo dargli un nome, ebbene, è shoegaze. Non più un suffisso bensì un intero che racchiude tutta una storia scritta dalle mani di chi ha strappato il velo.

All’altare di Cocteau Twins, Slowdive, This Mortal Coil e My Bloody Valentine si assiepano le nove canzoni che, legate assieme da melodie eteree, formano il quadro finale, un lavoro di cesellatura che va ben oltre la semplice idea di “album”. George Clarke ha lavorato con dedizione e sacrificio per dare alla sua voce una nuova forma, riconoscibile e sgargiante nel suo tocco di pennello amaro. In un’intervista a Pitchfork il cantante racconta di come si sentivano lui e gli altri componenti del gruppo quando band come Cave In e AFI presero il loro sound e lo rivoltarono come un calzino, trasformandosi in altro, e cosa questo significò per loro, da ascoltatori. È davvero la sensazione che sento io stesso immergendomi in “Infinite Granite”, è frutto di una visione che va ben oltre il calcolo. Cosa mi aspettavo? Di certo non questo. Quanto possiamo ancora stupirci nel 2021?

La risposta si materializza più ci si addentra nei singoli brani, in una fitta tela dai fili dorati, a intesserla i ragni delle sei corde Kevin McCoy e Shiv Mehra che tra riff rilucenti ’90 e arpeggi amari si abbracciano in una spirale il cui raggio d’azione pare non potersi estinguere mai. Sembra tutto sospeso in uno spazio altro, l’indie novantiano si deforma sulla doppietta iniziale Shellstar e In Blur, come di soppiatto, annaspando senza fiato e infine respirando a pieni polmoni. Si può udire sempre un rumore di fondo che riempie lo spazio, lo si nota in The Gnashing, tensiva manifestazione di aggressività melodica, con un solo interstellare che s’innalza su strati e strati di suono che seppelliscono un umore delirante. C’è tanta di quell’amarezza da riempire un oceano di lacrime in Other Language, tra lucori acustici che spingono l’elettricità fuori dal bozzolo in un roboare violento, un battito cardiaco accelerato e colmo fino all’orlo.

Grida ancora, Clarke, ma lo fa solo quando la tensione è tanta e il crescendo è tanto esasperato da non poter andare oltre con quanto imbastito fino a quel momento, così è “costretto” a tornare parte della furia dando vita ultraterrena a Great Mass Of Color e Villain, le cui code sterminano il silenzio già violato poco prima e che trova l’approdo finale sulle note flebili di Mombasa, che più di un pensiero riporta ai Silver Jews, il cui formulario indie-folk è stato interiorizzato a memoria così come la capacità di far piangere con poco e che in men che non si dica si vede tramutata in un carnaio metallico senza via di scampo.

Mai mi sarei aspettavo che i due ragazzi in piedi vicino a me al Primavera Sound dell’anno in cui Rachel Goswell e Neil Halstead riunivano la banda avrebbero raggiunto i sentieri battuti dagli inglesi con i loro classici. Per questo posso dire che stupirsi nel 2021 è ancora possibile. Clarke ha dichiarato che questo disco doveva essere il loro “Kid A”. Ebbene, è proprio così.

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