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Interviste

Appunti di viaggio da terre lontane: intervista a Cemento Atlantico

A fine luglio è uscito “Rotte Interrotte” (qui la nostra recensione), esordio del progetto Cemento Atlantico. Noi di Impatto Sonoro ne abbiamo approfittato per scambiare quattro chiacchiere con Alessandro Zoffoli, aka Toffolomuzik, ideatore e produttore del disco. 

Ciao Alessandro, innanzitutto complimenti per il disco e in bocca al lupo per il progetto. Il lavoro del musicista è quello di tradurre in note il suo vissuto. Nel caso di “Rotte Interrotte” hai coniugato la passione per i viaggi e il “mestiere” di producer: tutta qui la storia o c’è qualcos’altro da raccontare, magari un retroscena?

Ciao, grazie infinite per i complimenti e per questa chiacchierata. Il “mestiere” di producer prima di questi ripetuti lockdown era solo un sogno nel cassetto per me: avevo tante idee a riguardo, ma pochissimo tempo per dedicarmi alla messa in opera di un progetto concreto. Da sempre consapevole che questo sogno si sarebbe mosso tra i meridiani ed i paralleli di un planisfero, ho cercato di dare un senso al tempo, ai progetti e alle rotte “interrotte” da questa pandemia. Non se ho sofferto di più l’essere orfano dal peregrinare o il non potermi approcciare ad un mixer da dj (mio lavoro abituale). Il viaggio per me non è semplice svago, è una vera e propria esigenza, un benessere fisico e una crescita mentale. Così è nato Cemento Atlantico: uno scrigno di racconti, un viaggio in solitaria tra le memorie di alcune coordinate lontane che ho amato e vissuto nel profondo.

Marocco, Cambogia, Perù, Myanmar… la passione per il turismo globale è evidente, ma c’è un criterio nella scelta delle mete da raggiungere?

 Non c’è un reale criterio nel mio viaggiare da backpacker. Cominciai dall’America Latina per via di un’ignota attrazione, da li me ne innamorai perdutamente e decisi di dar vita ad una sorta di “Risiko” atto a conquistare un continente per volta. Approfondii gli studi storici, le contraddizioni e i parallelismi tra le varie culture. Iniziai a peregrinare anno dopo anno incurante delle coordinate spaziali, basandomi solo su dettagli e legami che apprendevo viaggio dopo viaggio. Al momento ho un solo limite geografico: quello termico. Pur essendo la mia curiosità mutata in qualcosa di famelico, sento la necessità fisica di un contatto diretto con gli Oceani, quindi – viaggiando prevalentemente durante l’inverno – mi muovo in una comfort-zone che oscilla tra i due tropici. Sono comunque pronto a mutare ulteriormente senza dar freno ad ogni mio istinto. 

Quale valore assume la compagnia quando decidi di intraprendere un viaggio? Nello specifico, i percorsi narrati in “Rotte Interrotte” sono stati intrapresi in solitaria o con qualcuno?

Mi sono messo alla prova con qualche viaggio in solitaria, ma ho raggiunto la maggior parte delle mete affiancato da due fedeli amici. È molto difficile trovare la giusta compagnia nella vita da backpacker, dove tutto è improvvisato e spesso serendipico. Ma tra le mie fortune c’è anche questo aspetto di amicizia fraterna. Tutto ciò ad oggi è fonte di una complicità che non ha fatto altro che alimentare positivamente le mie ricerche culturali e sonore. 

Nella tua vita è nato prima il viaggio o il field-track? Quando hai realizzato che potevi andare in giro a registrare suoni?

Quella del registrare l’ambiente che mi circonda è una passione, quasi una mania, che mi accompagna sin da bambino, in ogni ricordo. Nel caso specifico di “Cemento Atlantico” il tutto ha preso ispirazione dalla memoria e dalle foto che ho scattato durante i miei viaggi, foto per nulla professionali ma ricordi decisamente indelebili ai quali tengo particolarmente. Reputo la fotografia sensazionale, è un mezzo in grado di fermare il tempo. Il suono registrato invece, è ciò che il tempo vuole raccontare.  Allo stesso modo, se volessimo fermare il suono su un supporto non potremmo mai farlo se non procedendo lungo un range temporale.  Questo meccanismo, affascinante per quanto banale, mi ha permesso di ricostruire attraverso le manipolazioni dei field-recordings, le immagini e gli eventi che ho raccontato nell’album “Rotte Interrotte”.

Una volta raggiunto un archivio sonoro invidiabile, qual è stato il momento in cui hai capito che quel flusso così eterogeneo potesse diventare un disco?

Avevo solo bisogno di fermarmi a riordinare gli appunti. L’idea di creare un progetto sensato, risiedeva in me da tanto tempo, forse sin dal mio primo viaggio.  Esplorando il mondo, notai la sensibilità percettiva con la quale mi soffermavo sugli usi e costumi e sui dettagli più banali che contraddistinguono i popoli. Il suono che riempie la nostra quotidianità, spesso viene subito come scontato sottofondo, in realtà tutti i suoi connotati si possono esplorare e ordinare fino a crearne una melodia.  La mia soglia di attenzione uditiva, si alza istintivamente trovandomi in viaggio, immerso in culture e paesi diversi dal nostro. Così sono nati gli appunti sonori, quelli che ho sempre sognato di assemblare in maniera costruttiva. 

Oltre ad essere un diario, “Rotte Interrotte” è una sorta di consuntivo sui viaggi fatti nel tempo. Da buon girovago, hai già in mente di esplorare posti nuovi – o tornare in luoghi già visitati – quando la situazione sarà più tranquilla?

Zaino e passaporto sono pronti a ripartire con me il prima possibile. La voglia di scoprire mi ha sempre portato verso mete nuove, senza mai tornare in paesi già visitati. Sono consapevole che non basterebbe una vita per visitare questo pianeta, quindi largo a nuove terre inesplorate. Di un’altra cosa sono certo: un giorno mi piacerebbe realizzare un intero studio dedicato all’Etiopia, un paese che corteggio da anni. Purtroppo per problemi di instabilità politica e inarrestabili guerriglie, ho rinunciato (anche last-minute) più volte ad un viaggio verso questo paese, denso di storia e tradizione musicale. Sono innamorato del suono Etiope: dalle origini tribali all’ Ethio-Jazz. Sono consapevole del fatto che buona parte della musica dell’ultimo secolo, soprattutto quella proveniente dell’area Caraibica – successivamente sbarcata in Europa – derivi dall’Etiopia (ahimè per via della tratta degli scavi). Le stesse musiche sacre legate al Rastafarianesimo e alle scritture del “Kebra Nagastt” trovarono origine in quella terra, che ha dato vita ad interi filoni musicali ancor oggi in perenne evoluzione. Insomma la frase dello spoken-word di Jim Ingram “…It began in Afrika…” era, ed è, più dogmatica che casuale.

Guardando in casa nostra, finalmente ci sono regole certe sulla partecipazione a eventi dal vivo, nel nostro caso musicali. Tu fai parte del gruppo che accetta o di quello che rifiuta l’obbligo di green-pass per accedere a un concerto?

La parola “gruppo” o i suoi sinonimi, sfociano inevitabilmente ad uno schieramento categorico, e ciò non fa parte del mio essere. Ho viaggiato abbastanza da assistere a crisi finanziare, sociali e sanitarie che hanno messo in ginocchio interi paesi per decenni. Mi sembrerebbe assurdo rimanere indifferenti, o addirittura senza un piano precauzionale, dinnanzi ad un evento così inedito ed esteso come quello dell’attuale coronavirus. L’unica cosa che mi auguro, è che si possa tornare al più presto ad una condivisione pacifica della cultura; per godere delle vibrazioni che solo i palchi e i dance-floor sanno regalarci. 

Il tuo ambiente di nascita e provenienza artistica è senza dubbio il clubbing. Al di là della pandemia, negli ultimi anni c’è stato progresso tecnologico, le nuove generazioni possono ormai essere considerate social-native e la concorrenza oggi comprende gli trasmessi in streaming. Cosa è cambiato in termini di percezione dell’evento live da parte dei partecipanti e del dj?

Avendo iniziato a lavorare e a frequentare i club in età adolescenziale, posso tranquillamente affermare di far parte di una generazione ibrida. Sono nato in un mondo fatto di fanzine, negozi di dischi e una dignitosa Mtv, oggi mi trovo a fare i conti con lo streaming e i calcoli algoritmici del gusto. Sinceramente credo che stiamo attraversando ancora un periodo di transizione tra queste due ere, capto ancora troppa entropia nella percezione di massa, troppo marcata per poter capire cosa sia realmente cambiato e in quale direzione. Cosa certa è che ad oggi, una grossa fetta di pubblico partecipa agli eventi per inerzia o per qualche manciata di selfie presenzialista. La passione e la partecipazione viaggiano su binari non proprio paralleli tra loro. Dalla parte della console: il compito del dj è diventato solo un po’ più complicato, ma non certo noioso. Credo che un buon dj possa definirsi tale solo se veste bene i panni del mediatore. Un set deve essere composto da nuove informazioni senza trascurare i dati numerici dei gusti di massa. E’ vero, oggi è più dura che in passato, ma di certo non mancano le scelte e gli stimoli. 

Dal punto di vista del dj, è vera la voce secondo cui oggi i potenziali partecipanti a un dj-set scelgono dove dirigersi in base ai follower che ha sui social?

Rifacendomi alla mia precedente risposta, mi colloco anagraficamente tra l’era analogica e quella digitale così come il pubblico con cui ho confronti. Diciamo che negli ambienti che frequento, i numeri sociali non sono al momento la discriminante prevalente. Negli eventi frequentati dai più giovani, mi rendo conto che a farla da padrone siano i “cuoricini digitali”. La cosa mi stranisce ma non mi spaventa: credo sia una naturale evoluzione comunicativa, con pregi, difetti, truffe e meriti annessi. In un passato ormai non troppo recente i Sex Pistols crearono e dichiararono il loro “The Great rock’n’roll swindle” oggi con uno smartphone si può simulare il loro operato con un paio di app, il tutto senza essere Vivienne Westwood o McLaren…non è detto che il risultato sia lo stesso, ma ci provano in tanti, così c’è chi si prende i giusti meriti (che in passato non avrebbe potuto raggiungere se non con un colpo di fortuna) e chi vola direttamente sulla Luna senza un reale motivo.

La domanda che ponevo alla fine della recensione, e che approfitto per farti direttamente, è: ci sono altri viaggi da raccontare? “Rotte Interrotte” prevede un seguito?

Certo che si, ho tralasciato tante immagini dense di suoni e ricordi, paesi ed etnie che non ho ancora citato… senza contare le “rotte” future in programma. 

Più in generale, ti è piaciuta l’esperienza di produrre un disco? Lo rifaresti?

È stata un’esperienza che mi ha arricchito e appagato.

Faccio il dj da tantissimi anni e ho trovato questo step molto stimolante. Riempire il silenzio con suoni e ricordi che non fossero parte della mia collezione di dischi è stato davvero emozionante, lo sarebbe stato anche se questo progetto fosse rimasto solo un file custodito segretamente sul mio pc. Insomma: ho al contempo coronato un sogno e riempito un vuoto temporale difficile.Visto che tutto ciò ha suscitato anche qualche interesse, non vedo per quale motivo dovrei fermarmi. Sono un viaggiatore e un onnivoro di musica: quale miglior cosa se non, coniugare e condividere queste due passioni? Vi ringrazio ancora per questa interessante chiacchierata!

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