Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

THIEF – The 16 Deaths Of My Master

2021 - Prophecy Productions
trip hop / elettronica / industrial

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Underking
2. Bootleg Blood
3. Teenage Satanist
4. Scorpion Mother
5. Fire In The Land Of Endless Rain
6. Gorelord
7. Apple Eaters
8. Night Spikes
9. Victim Stage Left
10. Wing Clipper
11. Grave Dirt
12. Lover Boy
13. Crestfaller
14. Life Clipper
15. Cannibalism
16. Seance For Eight Oscillators


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Dietro i drappi di THIEF si nasconde alla vista degli umani la presenza di Dylan Neal, ex-The Botanist e losangelino. La sua presenza californiana è solo corporea, così come il suo vivere in questi tempi, per il resto la sua figura si sposta tra i ’90 e il 2021, e il trip etereo va da Bristol alla terra natia.

Trasmigrare musica e anima sembra il fine ultimo di “The 16 Deaths Of My Master”, terzo album della sua creatura che, tanto nel cemento quanto in un mistico superuranio, sboccia qui per intensità e possanza, fregiandosi di una leggiadra soluzione elettronica che mistifica tutto e lo ritorce contro il proprio petto, trafiggendosi.

Organico, potente e multiforme, l’album racchiude in sé una gamma tra le più ampie di sentimenti e un ventaglio musicale decisamente esteso, anche se spesso è proprio questo il suo tallone d’Achille. La macchina sfrigola, la precisione chirurgica di Neal nel rendere ultramoderne le proprie composizioni, in combutta con John Greenham in sede di mastering (la cui abilità tecnica lo ha spinto tanto tra le braccia di Ratos De Porao quanto quelle di Billie Eilish e LP), allontanano ogni possibilità di retromania anche in presenza di sonorità non propriamente adatte al sound dell’oggi: il riscontro del crossover industriale di Night Spikes, con parte lirica che non indulge nello sconfinare in metriche rappate, nei deliri di pesantezza sintetica che rimandano a certe cose degli Skinny Puppy che lambiscono Gorelord o l’autobiografica Teenage Satanist.

Il meglio lo tira fuori quando il risultato delle parti in causa è simile all’esplosione sonora di una nailbomb melodica: Victim Stage Left si sgrana tra sample allucinatori e sterzate jungle; Lover Boy è struggimento dubbato profondo, uno struggimento che attanaglia anche la dilatazione spasmodica della toccante Cannibalism; l’electro tirata Apple Eaters; le suadenti spire trip hoppeggianti che avvolgono Bootleg Blood e Scorpion Mother e quelle in cui i Massive Attack incontrano l’oscurità del doom più occulto e spiritato di Wing Clipper, pulsando nel sesso più profondo nascosto tra pieghe di malessere, una sensazione che finisce per uscire e rientrare di continuo, tra deliri maligni e artiglieria sintetica pesante in un susseguirsi estenuante di morte e rinascita.

Neal dimostra non poco coraggio, in un’epoca in cui less is less (niente more), dominata dall’idea che la soglia dell’attenzione non possa durare più a lungo di un singolo su Spotify o uno striminzito EP da poco, dando i natali ad un’opera profonda e dalle mille anime. Anzi, sedici. Non una di più, non una di meno.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni