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Kanye West – Donda

2021 - GOOD / Def Jam
hip hop

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Tracklist

1. Donda Chant
2. Jail
3. God Breathed
4. Off The Grid
5. Hurricane
6. Praise God
7. Jonah
8. Ok Ok
9. Junya
10. Believe What I Say
11. 24
12. Remote Control
13. Moon
14. Heaven And Hell
15. Donda
16. Keep My Spirit Alive
17. Jesus Lord
18. New Again
19. Tell The Vision
20. Lord I Need You
21. Pure Souls
22. Come To Life
23. No Child Left Behind
24. Jail pt 2
25. Ok Ok pt 2
26. Junya pt 2
27. Jesus Lord pt 2


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I tempi degli esordi di Kanye West, devastanti, e davvero in grado di cambiare le regole del rap game, soprattutto dal punto di vista della produzione, sono bell’e che finiti, e da un pezzo. Per quel che mi riguarda sono i primi due album a fare la differenza su tutto e fino a “My Beautiful Dark Twisted Fantasy” è tutto un vacillare. Dopo poco e niente, se non nulla di esaltante. Ovviamente questo è un pensiero non condiviso, perché il grande pubblico ha continuato a concordare con Ye sul suo autoproclamato stato di “genius”, nonostante in giro ci fosse di meglio, e di gran lunga.

West, da bravo imprenditore e ancor più da personaggio anomalo tout court ha sempre saputo come vendersi, e per farlo ha da sempre fatto ricorso a gesti eclatanti che superassero di gran lunga i propri risultati discografici, nella sempre più disperata ricerca dell’accentramento dell’attenzione su di sé, e questi comportamenti possono distruggere chiunque, anche i rapper milionari, ma questo lo sappiamo già. Dunque, negli ultimi anni Kanye ha compreso che per farsi notare in questo mondo in cui l’informazione è pompata a cucchiaiate di steroidi avrebbe dovuto alzare l’asticella del bastiancontrarianismo (proprio dei geni, no?) e quindi è comparso al fianco di Trump non solo fisicamente, ma anche dal punto di vista politico – cosa che al sottoscritto frega meno di un cazzo, dato che ad esempio ascolto gli Slayer senza problemi con la propria natura politica opposta – e a ciò ha aggiunto frasi sconsiderate sulla schiavitù e via discorrendo.

Per strombazzare al mondo l’uscita di “Donda” non è stato da meno e si è spinto sempre più contro l’opinione comune sulla cosiddetta cancel culture (invisa anche a chi scrive) e comparendo in diverse foto assieme ai nemici pubblici numero uno del momento, ossia Marilyn Manson (che, va ricordato, non è stato ancora giudicato da chi di dovere, ovvero la giustizia, non basta la condanna di pubblico e rete) e DaBaby. Tutto il resto l’hanno fatto gli eventi gigasferici dedicati all’ascolto dell’album – una tecnica già sperimentata con “Nasir” di Nas prodotto proprio dal Nostro – aggiungendo alla formula date fasulle di pubblicazione, rendendola vincente. Il pubblico stava schiumando. Una volta condiviso ovunque, beh, è venuto fuori che West non ne volesse la pubblicazione. Ma deciditi (o smetti di spararle grosse per fare notizia, delle due una).

Quant’è valso la pena attendere? Manco a dirlo, ben poco. Ci sono già persone che si strappano i capelli parlando del valore dell’album dedicato alla defunta madre di Kanye (Donda West). Era ovvio sarebbe andata così, perché da queste parti lo spirito critico è stato soppiantato dall’hype e dallo status quo autoindotto che pare aver procurato un’allucinazione collettiva che resiste ai tempi e alle effettive prove in studio. Il totale dei brani coinvolti è insensato (27) ed è un pandemonio di brutture a livello di produzione e di contenuti da far girare la testa. L’ex-enfant prodige di Atlanta presume che confondendo le idee buttando nel mazzo una miriade di idee tutte di base diverse le une dalle altre si dia un tocco di particolarità al risultato finale, e invece provoca solo una sensazione di vertigine tutt’altro che geniale.

Dal punto di vista puramente lirico siamo di fronte ad un incidente di proporzioni bibliche. Per restare in tema, beh, che Kanye fosse in fissa col suo dio non era un segreto (“Jesus Is King” ha fugato i dubbi, se mai ce ne siano stati), ma il livello di sproloqui insensati su religione con annessi e connessi raggiunto su “Donda” è spaventoso. Quasi fosse un predicatore da tv via cavo made in USA si prolude in preghiere rap che racchiudono l’esagerazione, dalla convinzione che l’altissimo in persona abbia soffiato dentro il suo lavoro dandogli un’aura sacrale passando all’odio per l’avversario e il suo riconoscimento come tale arrivando all’idea del dio cristiano come CEO dell’umanità che lo prende per mano guidandolo nelle sue azioni. Se a questo aggiungete i soliti temi, come la società cattiva che ostracizza i “giusti”, o che arresta chi non va arrestato in nome della libertà di parola (un abuso, in molti casi, tipo questo), o ancora spingendosi a sbandierare mille volte l’idea di “no promo”, che risulta piuttosto ridicolo viste le trovate pubblicitarie da miliardario messe in pratica, e avrete un mix letale di qualunquismo da preacher sbronzo alle dieci di mattina sul pulpito che, nel tentativo di dirne una giusta, cade riverso per terra. Il tutto condito dalla sua ben nota penna non proprio ispirata e all’ampiamente mancata stoffa da MC, come quella di tanti suoi comprimari qui presenti. Pare la raccolta dei peggio contenuti da social targati 2021. Non una barra decente a pagarla oro.

Musicalmente è una furbata estrema e sembra la “visione mistica” di uno che vuol mettere d’accordo giovani e vecchi totalmente a caso. Mischia tutto ciò che può, come uno chef impazzito, con una propensione a quello che è il rap oggi, dosi estreme di ritmi drill e trap, autotune a pioggia che si inseriscono di sbieco in farfisa e cori gospel, alternandosi senza soluzioni di continuità a ballad elettriche scariche oltre il limite del sopportabile, con sparuti tentativi malfermi di industrial-rap (Manson scrive Jail e Jail pt.2 che sono esattamente quel che ti aspetti pur chiedendoti cosa ci faccia il Reverendo della Chiesa di Satana in un album da preti) in un gorgo infinito insalvabile che si schianta nella miriade di nature snaturate che infestano un disco che più confuso non si potrebbe. I centomila ospiti presenti, che vanno da Young Thug a Playboi Carti, da Ariana Grande al grande ritorno di Jay-Z fino a Swizz Beatz passando per Westide Gunn e Travis Scott (e non li ho nemmeno elencati tutti) non servono ad aggiungere nulla di nulla a quanto già presente, anzi, servono da ulteriore elemento disgregante, come se fosse utile, a conti fatti, poiché ad un certo punto le formule si ripetono così tante volte da lasciare interdetti chiedendosi che cazzo di acido si sia ingollato.

Va da sé, all’unanimità di un pubblico ormai standardizzato, questa sarà roba forte, persino innovativa. Ma se l’avesse scritta un signor Nessuno, uno che non ha bisogno di fare l’imbonitore per vendersi, chi ci si fosse avventurato avrebbe lasciato un “commento negativo”, dimenticandosene un secondo dopo. E invece sarà un tripudio di “alleluja”. Come diceva uno dei protagonisti di “Futurama”: “Non voglio più vivere su questo pianeta”. Non su un pianeta in cui questo scarto di album è considerato una figata.

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