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Saffronkeira + Siavash Amini – The Faded Orbit

2021 - Denovali Records
dark ambient / sperimentale

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Tracklist

1. A Lambent Assembly
2. Concave
3. Emanation
4. Kernel
5. Forgotten Machinations
6. Sanguineous


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La sinergia tra Saffronkeira e la label Denovali genera sempre prodotti di alta, altissima qualità. Questa volta il ricercatore sonoro sardo Eugenio Caria ha collaborato con il musicista iraniano Siavash Amini nell’album “The Faded Orbit”. Per chi non lo conoscesse Siavash Amini è un compositore di Teheran, Iran. Ha lavorato con etichette come Room40, Hallow Ground, Opal Tapes e Umor Rex per la metà degli ultimi dieci anni, esibendosi in vari festival. Inoltre Siavash è un co-fondatore del “SET experimental art events” e del “SETfest” a Teheran, Iran. Nella sua ricerca musicale si è lasciato guidare dai film di Tarkovsky e dai romanzi di Dostoyevsky.

“The Faded Orbit” è una delle uscite discografiche più interessanti dell’anno. È ricco di ricerca e sperimentazione musicale elegante, tecnologica e terribilmente umana. All’interno di “The Faded Orbit” ci sono nuvole di droni che vi trascinano via, lontano dove l’udito influenza la vista, annebbiandola. I glitch scivolano dentro, sciogliendosi e corrodendo quello che incontrano. I synth pad sono lì, pronti a colpire.

Non mi dilungherò sulle immense qualità tecniche dell’album, ad ogni ascolto emergono nuovi suoni, sfumature che assumono forme mutevoli a seconda dell’umore in cui si trova l’orecchio ascoltante. Mi soffermo invece un attimo sul concept dell’album, il quale si muove intorno alla memoria. O meglio alla percezione che abbiamo di essa. I suoni, sostanzialmente, sono immagini o, meglio ancora, esperienze in grado di modificare la percezione dello spazio, del tempo e della materia. La nostra, quella interiore.

Davvero ogni immagine sonora e non che incontriamo l’abbiamo vissuta? Abbiamo esperienza di tutto quello che la nostra memoria custodisce o ci sono immagini che crediamo solo di aver vissuto? Non lo so. Nei mille ascolti che hanno accompagnato lo studio di “The Faded Orbit” la memoria immaginata si mescola a quella vissuta, si sovrappone, genera mille piani di esperienze, alcune volte fluidi, altre sovrapposti che cercano di annientarsi l’un l’altro.

A Lambent Assembly sfiora, appunto. Sfiora l’udito, i sensi, si fa timidamente spazio in una memoria a pezzi come la mia, accarezzandola. Ma il synth cupo e il drone sinistro presagiscono ad una carezza non proprio benevola, aprendo la strada a Concave, un pezzo che mi ha devastata per la sua potenza, obbligandomi a camminare nei paesaggi più oscuri e desolati della memoria. Quella vissuta davvero, quella che ho creduto di aver vissuto. Il pezzo è diviso in due momenti, il primo costruito da synth acuti e taglienti come lame, il secondo di suoni cupi e densi.

È una discesa senza sosta verso il nucleo, verso Kernel nel quale si insinuano entità sonore disturbanti. È il pezzo in cui avverto di più i ricordi che credo di aver vissuto, in cui la memoria si fa male. Forgotten Machinations è un pezzo che amo definire hauntologico. Quello che dimentichiamo lascia un vuoto, uno spazio che verrà occupato, per la natura delle cose, da altro. Ma l’altro in alcuni casi è uno spettro, un mancato ricordo, un qualcosa che pur non essendo presente agisce, modifica, ridimensiona. E dopo tutto questo rimestamento cosa resta? Una ferita, Sanguineus. Ma la ferita è il primo passo per la guarigione se vogliamo.

Mi sembra evidente che “The Faded Orbit”, l’orbita del ricordo sbiadito, sia un album imponente. È un luogo ideale nel quale si incontrano tecnologia, tecnica, sperimentazione e soprattutto indagine umana. Non so che rapporto abbiate voi con la memoria, ma “The Faded Orbit” sicuramente lo rimetterà in discussione.

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