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Interviste

Il suono fantasma della memoria: intervista a Saffronkeira

Photo: Mario Saragato

A settembre SaffronKeira, moniker dietro cui si cela il musicista e ricercatore sonoro sardo Eugenio Caria, è tornato sulle scene con l’album “The Faded Orbit” (qui la nostra recensione), realizzato a 4 mani con il producer iraniano Siavash Amini e firmato Denovali Records. Un disco imponente che indaga sulla dimensione sconfinata della memoria, scombinando ogni certezza e rimescolando ricordi e percezioni. Un suono “fantasma”, musica hauntologica che ridefinisce ad ogni ascolto il rapporto tra l’ascoltatore e il suono. Ne abbiamo parlato direttamente con lui.

Vorrei iniziare a parlare del tuo moniker. Ho letto che per te, l’identità di SaffronKeira, è stato, in un momento professionale preciso, un luogo nel quale ti sei sentito libero di esprimerti, libero di essere chi sei. Ad oggi, esiste un luogo nel quale ti rifugeresti se provassi il desiderio di scappare da SaffroKeira?

In giovane età, alla ricerca di essere “accettato” o essere parte di un qualcosa/sistema/situazione mi resi conto ad un certo punto, che quella vita “a Londra” ai tempi ad inseguire promoter o A&R non faceva per me…Così mi allontanai e tornai in Sardegna nella mia terra, dove con totale isolamento e piena libertà trovai il mio inizio del vero e libero percorso artistico senza mai cercarlo o forzarlo, quindi penso di essermi già rifugiato e di essere scappato in passato da un qualcosa, non penso di avere bisogno di scappare da saffronKeira, in quanto non si scappa da quello che hai dentro e quello che ti appartiene e ti ha segnato e sopratutto formato come cultura in questa società.

Si parla sempre di cosa è bello portarsi dietro dalle esperienze professionali precedenti. Ecco, della tua esperienza internazionale come DJ techno, cosa sei felice di aver lasciato?

Mah, onestamente come DJ techno non credo di aver lasciato tanto… ancora oggi mi esibisco come DJ anche “con set techno”, ma credo di aver lasciato più un qualcosa ad oggi attraverso i miei dischi e più che ai djset credo di aver lasciato qualche buona memoria ed emozione attraverso qualche concerto, che poi credo sia un dare e avere col pubblico, senza loro non c’è connessione, quindi anche in una esibizione qualsiasi essa sia, djset, live, installazione, performance audio/video sarà sempre uno cambio e non solamente un lasciare, in sostanza sono felice dei momenti intimi e di viaggio che vengono trasmessi all’ascoltatore quando ovviamente questo succede.

La tua ricerca, ricca di sperimentazione, l’ho subito percepita molto più vicina alla sound art che alla musica intesa nel senso canonico del termine. Qual è secondo te il labile e delicato confine che separa la sound art dall’elettronica “pura”? Credi sia solo grazie al fruitore che si stabiliscano alcune definizioni di genere o dipende anche dal processo decisionale dell’artista?

Credo che in buona parte venga stabilito anche dal processo che viene applicato dall’artista in primis…(dal modus operandi) ma ovviamente il giudizio finale è anche dal fruitore, io nella fase creativa cerco di ottenere e di utilizzare entrambi i lati, sia soundart come tu la definisci ma che ad un certo punto deve aprirsi o trasformarsi in musica ovviamente non per forza canonica, questo per me è fondamentale… penso che la musicalità ad un certo punto debba venir fuori e toccare l’anima. Questo è il compromesso per me. Ovviamente a meno che, si tratti di un opera dedicata esempio una installazione audio/visiva, quindi lì rimane tale e quale soundart puramente 

Il tuo immaginario sonoro e quello di Siavash Amini, con il quale hai siglato “The Faded Orbit” per la label Denovali, presentano molti punti in comune. Ti va di raccontarci cosa vi accomuna e cosa, invece, vi rende diversi?

Ci accomuna in primis una profonda amicizia e un rispetto reciproco davvero immenso, ho avuto l’onore e la fortuna di esibirmi e passare del tempo con lui e con altri amici in quel magico ma, anche martoriato paese che è l’Iran e trascorrendo del tempo lì, penso di avermi fatto un’idea di quello che ci rende diversi “per certi aspetti”, o meglio potrei dire con tanta certezza di quanto siamo diversi in termini di libertà noi occidentali “sempre per certi aspetti” rispetto a loro, credo fermamente che gli Iraniani abbiano una marcia in più, lo dico con convinzione, ho imparato che meno “cose” si hanno è più si può essere concreti e incisivi! Più c’è privazione e negazione di un qualcosa e più si vuole osare e crescere! tra l’altro l’esperienza in Iran credo che sia una delle cose che più mi abbia reso maturo negli ultimi anni, sopratutto nella mia carriera artistica ma anche come uomo.

L’album “The Faded Orbit” mi ha messo di fronte al mio rapporto conflittuale con la memoria e con i fantasmi che popolano le regioni volutamente meno esplorate della mia mente. Qual è il tuo rapporto con le immagini, sfocate appunto, che emergono sulla superficie dalle profondità della memoria?

Questo rapporto che dici è presente e complesso. Quando posso e riesco a tramutarlo in musica, come in questo caso in ambito artistico è stato usato da entrambi per poter sviluppare il concept di questo lavoro, ma il processo è talmente astratto che per poter spiegare dal mio lato servirebbe uno sciamano e un trip probabilmente, però si, è parte integrante spesso nella base della tela sonora iniziale, credo che siano le cicatrici del passato e magari anche quelle del futuro!?

Ascoltando i tuoi album, in particolare “The Faded Orbit”, qualcosa agisce sulla percezione delle cose pur non essendo effettivamente presente. Un suono “fantasma” decide, scava, tarla. Ed è per questo che potrei azzardare la definizione, per estensione, di musica hauntologica. Ti ritrovi in questo?

Essendo la psichedelia, il cinema e il passato parte integrante delle mie composizioni, ti dico sì! Mi ci rivedo in questo “termine” alla fine anche nel concept di questo disco credo che entrambi abbiamo sonorizzato un film che non è visibile! ma che il fruitore può immaginare a suo gusto e interpretazione.

Esplori le opportunità date dalla tecnologia, ricerchi sonorità all’interno delle possibilità. Nella costruzione di un suono, è la tecnologia che ti suggerisce la risoluzione formale o cerchi fino a quando la tecnologia si piega a quanto hai in testa?

Beh a volte ci provo a domare la tecnologia o a lasciarmi guidare dalle sue possibilità, facendone ed essendo parte integrante della mia vita quotidiana, uno dei primi aspetti creativi dovrebbe essere quello di farne un uso sempre consapevole, ma mai diventarne schiavo o assuefatto da essa a pieno, infatti per questo mi avvalgo da tanti anni dell’utilizzo anche di apparecchiature vintage e completamente analogiche dove il margine di errore è più presente e meno “corretto” e convenzionale rispetto al lato tecnologico che a volte ci porta a creare con comodità e superficialità… ma tutto questo è fine a se stesso… è diverso in base a quello che il creatore necessità.  

Ti ringraziamo per il tempo che ci hai dedicato!

Grazie a voi per il vostro tempo e per il costante supporto!

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