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L’essenziale è la forza di vivere: intervista a Massimo Priviero

Foto: Ferdinando Bassi

Facendo seguito ad un articolo nel quale ripercorrevo le tappe della carriera di un rocker veneto da anni trapiantato a Milano, uno che ha percorso gli ’80 e i ‘90 incarnando l’idea stessa di resilienza e che forse, ma in fin dei conti non è andata così, e lui ce l’ha confermato, ha raccolto meno di quello che ha seminato con dovizia e sempre senza mai piegarsi ai facili guadagni, ho avuto la fortuna di incontrare virtualmente Massimo Priviero in occasione dell’uscita di “Essenziale (qui la nostra recensione), ultimo suo lavoro che è una summa degli ideali del rocker di Jesolo. Restando in attesa di rivederlo dal vivo, certo che saprà catturare la mia curiosità come ormai succede da oltre tre decadi.

All’interno del nuovo disco quale la canzone alla quale sei molto legato e perché?

Sono legato a tutte. Come accade sempre in ogni album che faccio. Forse Redenzione e Paradiso hanno un significato speciale se proprio devo fare due titoli.

Quale, sempre se presente, il fil rouge che unisce le canzoni dell’ultimo disco?

Probabilmente un concetto che potresti chiamare “forza di vivere” e che lega tutte le canzoni, sia quelle più struggenti e riflessive che quelle più “aperte” si portano tutte dentro questa necessità.

In merito al filo rosso che crediamo unisca le 10 + 2 canzoni presenti nell’ultimo LP, parli di lotta e di tenere duro andando avanti sempre a testa alta, concetti che non sono mai venuti meno nel corso della tua carriera. Proprio per questo “Essenziale” lo si può giudicare in tal senso un concept e se sì perché?

In qualche modo un mio album è sempre un concept. La testa alta a cui fai riferimento è la difesa e il racconto di particolari valori esistenziali che attraversano tutto. L’idea di tener duro può anche non significare niente se non accompagnata a un particolare modo di stare al mondo. Che è mio e della gente che è vicina alla mia musica.

Un disco oltretutto dove domina il parlato e con lui l’acustico. Virata definitiva o scelta occasionale dettata dal desiderio di proporre qualche cosa di differente?

E’ un album dove le canzoni hanno degli incipit acustici e poi assumono forza e strumenti lungo lo sviluppo. L’acustico mi permette di mettere ancor più in primo piano i testi e la ricerca poetica. Oltre ad avere impatto emotivo più forte. E’ una scelta di cui sono contento.

Foto: Ferdinando Bassi

Da San Valentino, un pezzo che ti ha segnato indelebilmente, a oggi di acqua sotto i ponti ne è passata molta e per l’appunto come la giudichi passata? Ovvero sei rimasto soddisfatto della tua carriera o pensi che qualche treno ti abbia sfiorato senza che potessi afferrarlo? Da fan dichiarato personalmente credo che l’essere rimasto un cantante più di nicchia in un genere di matrice USA e d’oltre manica fa si che avvicinarsi ai tuoi pezzi ti faccia sentire più vicino al tuo pubblico.

Da San Valentino sono passati 33 anni. Se li metto insieme ho pure venduto complessivamente mezzo milione di dischi e ben 2000 concerti. Nella mia carriera ci sono state delle scelte di vita, musicali e di rapporti col sistema e anche certi compromessi rifiutati. Ho fatto sempre quel che avevo in animo di fare. Il resto conta poco per me.

Quattro gli anni dall’ultimo LP nel frattempo sei stato anche autore di un bel romanzo: Amore e Rabbia, che narra del tuo ritorno a casa dopo anni passati a Milano. Un ritorno alle radici insomma, l’ennesimo. Anche da un punto di vista letterario le origini dell’uomo sono un altro dei temi che tocchi con grande regolarità o sbaglio?

Si torna sempre là dove si è partiti. Vale ancora di più per chi è nato e cresciuto in riva al mare. Fare bilanci, scrivere per cercare se stessi è un processo quasi inevitabile. Nessuno può spostare legami e radici. Neppure se vuol farlo. E’ qualcosa che hai dentro. Nel mio caso assecondo questo sentimento e dunque lo faccio sfociare anche in quel che compongo o che scrivo.

L’incursione nella letteratura prima con la biografia scritta da Matteo Strukul e poi proprio con Amore e Rabbia sono solo due diversivi o diventeranno un nuovo modo di avvicinarsi al tuo pubblico e magari accostare nuovi fans?

No, non sono due diversivi, Sono un approdo quasi naturale. Anzi probabilmente sono quello che farò ancora più approfonditamente di qui a qualche anno. Chissà, magari scrivere dei buoni libri mi permetterà di stare un po’ più “di lato” rispetto a un sistema e ad un mondo che spesso disprezzo profondamente. E’ come entrare in una bolla che può renderti migliori le giornate. Spero che la mia gente apprezzerà. Come ha fatto per i libri che hai citato.

E per finire il tuo modo di scrivere canzoni si avvicina molto alla letteratura e anche al cinema. Pare sempre una sceneggiatura con personaggi e una narrazione molto sequenziale è forse così?

Molto corretto. La scrittura che uso è spesso “cinematografica”. Molto un susseguirsi di immagini. Come se chiudendo gli occhi tu disegnassi suoni, facce e storie che ti sono dentro e che vuoi tradurre. E’ sempre stata una mia costante. Da sempre. Che spero di tradurre in futuro sempre più non soltanto con dischi e concerti.

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