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Back In Time

“Among My Swan” dei Mazzy Star, la catarsi dei sogni

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In principio furono i Rain Parade, l’anima dolcemente psichedelica di quel colorato sogno ad occhi aperti che fu il Paisley Underground: erano i giorni del vino e delle rose, e a renderli indimenticabili furono un manipolo di ragazzi che aveva trovato la luce nei dischi dei Velvet Underground, dei Byrds e di Syd Barrett.

Di quella band David Roback era mente e chitarra, e assieme a Danny e Dusty, le sorelle Peterson, Mike Quercio, Susanna Hoffs, Sid Griffin e qualche altra anima bella, provarono a togliere fard e cipria dalla faccia del rock (o di quello che era) dei primi anni Ottanta. Dopo le leccornie psichedeliche di “Emergency Third Rail Power Trip“, Roback lasciò i Rain Parade per unirsi  alla bassista e cantante Kendra Smith (fuoriuscita dai favolosi Dream Syndicate) e formare prima i Clay Allison e poi gli Opal. Il tempo di un album che manteneva le promesse di quei giorni (“Happy Nightmare Baby“, il capitolo definitivo e imperdibile di quell’irripetibile saga), e proprio alla vigilia del tour promozionale David Roback si trovò a fronteggiare l’adorabile follia della Smith in fuga nel mistero dei boschi della California del nord. Quando Kendra tornò, per lei non c’era più spazio, perché al suo posto era stata reclutata Hope Sandoval, una giovane cantautrice di origine messicana con l’aria trasognata di una Nico prima del disastro.

Avvolta da una voluttosa timidezza, Hope Sandoval portò nei neonati Mazzy Star il fremito di una di voce sospesa tra innocenza e sensualità e il sospiro inquieto di testi dolenti ed elusivi.”She Hangs Brightly“, il debutto dei Mazzy Star, era attraversato dagli echi del Paisley con l’aggiunta, qua e là, delle pennellate bluesy della chitarra fatata di Roback. Come i Cowboy Junkies di qualche tempo prima, i Mazzy Star cantavano le proprie inquietudini sottovoce, restando nella luce soffusa e scolorata della penombra a prendere la mira su quel dream-pop che tre anni dopo riuscirono a sublimare nell’incantesimo riverberato di “So Tonight That I Might See”, l’album che conteneva Fade Into You e che fece di Hope Sandoval la chanteuse di riferimento per tutte le Lana Del Rey a venire.

Among My Swan” era fatto della stessa materia dei precedenti: odore d’incenso e petali di papavero, qualche sbuffo blues, il languore del country e una psichedelia morbida e gentile. Gli intarsi chitarristici della Telecaster di Roback  portavano a passeggio le inquietudini sentimentali dell’incantatrice Hope Sandoval sul confine fra sogno e realtà: Cry, Cry era Helpless di Neil Young per una nuova generazione di cuori spezzati, All Your Sisters rivendicava la bellezza e il conforto della malinconia e la conclusiva Look on Down from the Bridge esaltava la notturnità delle atmosfere. Ogni tanto un bagliore di elettricità (Still Cold), qualche reminiscenza doorsiana (Umbilical) e l’armonica di Flowers In December che soffiava il vento della stagione dorata del folk-rock californiano.

Among My Swan” s’affidava alla catarsi dei sogni, era una dolce vertigine di litanie che cristallizzavano il tempo, era vago senza escludere l’intensità, cullava la nostalgia e si fermava un passo prima di diventare depresso. Non aveva canzoni grandiose (o almeno non nel senso di Fade Into You, anche se chiunque potrebbe smentirmi citando Disappear) ma funzionava per la capacità di creare simbioticamente una sorta di comunione psichedelica con l’ascoltatore. “Among My Swan” aveva in sé l’autunno, e il mistero come orizzonte. Apparentemente distaccata, Hope Sandoval sussurrava i suoi tormenti, e ammaliava col veleno dolce del suo canto da sirena fatale galleggiando sopra le ballate all’oppio che David Roback e band le srotolavano sotto la voce.

Mai domati dalle regole del music business, dopo “Among My Swan” i Mazzy Star si presero una pausa per tornare diciassette anni dopo con “Seasons Of Your Day“, destinato a rimanere l’ultimo capitolo della loro enigmatica e affascinante avventura: in silenzio, com’era sempre vissuto, nel febbraio dell’anno scorso David Roback scivolò per sempre fra le braccia di quella notte che con la sua chitarra, per dirla alla Van Gogh, aveva reso più viva e intensamente colorata del giorno.

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