1. The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows
2. The Cormorant
3. Royal Morning Blue
4. Combustion
5. Daft Wader
6. Darkness To Light
7. Esja
8. The Tower Of Montevideo
9. Giraffe Trumpet Sea
10. Polaris
11. Particles
Damon, Damon, vecchio amico mio, sembrava difficile da credere ma alla fine sei tornato per davvero. Sissignore, perché – a ben 7 anni di distanza dal precedente “Everyday Robots” – il famoso frontman dei Blur è tornato con l’attesissimo “The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows”, descritto da Albarn stesso come un disco capace di rinnovare la sua fiducia in una alquanto vaga “sorgente pura”. E tutto questo immaginario, a dire il vero, si sente e pure parecchio: l’opera è un ritratto sofferto e fedele del periodo piuttosto buio attraversato con coraggio dal cantante inglese negli ultimi anni; un’impeccabile sintesi di nascita, morte, rinascita, fragilità e perdita. È esattamente questo il sale di tutta la sua nuova composizione, come già i singoli d’anticipazione avevano ampiamente lasciato presagire. Un disco in cui l’eclettico fondatore dei Gorillaz sembra perdere e ritrovare se stesso in continuazione.
A dire il vero, io non sono mai stato in Islanda – isola frequentata spesso negli ultimi 25 anni dal cantante –, ma se mai dovessi andarci, sono sicuro che questo lavoro sarebbe la colonna sonora perfetta per un viaggio simile. Damon riflette ed incanta sulle note di un disco scritto viaggiando per Uruguay, Iran, Devon (una contea del Regno Unito), passando, appunto, per l’Islanda: non a caso l’intero progetto avrebbe dovuto essere un ciclo di canzoni ispirato ai paesaggi islandesi. Ebbene io – in questi 40 minuti circa di durata complessiva – riesco a vedere con estrema chiarezza quei paesaggi che, ahimè, non ho mai visto.
La sensazione dominante – oltre all’autentica magia che vi ho poc’anzi descritto – è quella di essere trasportati a largo dall’inarrestabile flusso di pensieri di un ispirato Albarn: una sensazione che finisce per svolgere una funzione quasi purificatrice, in piena linea quindi con il concept generale del progetto. La calma di cui avevamo bisogno, dopo un periodo piuttosto duro come quello della pandemia – di cui evidentemente questo prodotto ha risentito –, è tutta qui, in questi 40 minuti scarsi di musica: The Tower Of Montevideo, la titletrack stessa, Daft Wader, Darkness To Light, Polaris, Particles. Tutti momenti – piuttosto alti e delicati – che non escludono affatto il caos ed il conflitto interiore evocati in un brano come Combustion, ad esempio.
La versione introspettiva di Albarn, insomma, è una versione assolutamente travolgente che non delude affatto le aspettative. Un vero e proprio successo, tanto per intenderci, dove l’ascolto in cuffia potrebbe rivelarsi un più che valido alleato ed, anzi, è assolutamente quel che vi raccomando. Se non altro, per fare in modo che quel famoso “flusso di pensieri” di cui vi parlavo, penetri dentro di voi, senza lasciarvi alcuna via di scampo, ammesso che vogliate veramente provare a scappare da voi stessi.
Perché, in fondo, è proprio questo il sacro insegnamento contenuto all’interno di quest’ultimo gioiello del cantante londinese: che anche dopo la più dura delle tempeste, c’è e ci sarà sempre modo di tornare ad una sorgente pura ed incontaminata. La nostra pura ed incontaminata sorgente personale.