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Back In Time

“Loaded”, quando i Velvet Underground erano cosi carichi che scoppiarono

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“Loaded” è il tipico album che non ha un senso compiuto e sul quale scrivere qualcosa che abbia senso è un’impresa. D’altronde, basta pensarci. Un album composto da due canzoni immortali e a tutti note, più altre 8 finite più o meno nel dimenticatoio. Un disco realizzato da una band formata da: un genio assoluto che si trovava in quel momento all’apice della tossicodipendenza e della depressione (Lou Reed); un ambizioso giovane a cui il manager diceva che sarebbe stato il nuovo e prossimo leader della band e una star (Doug Yale); un terzo membro ormai piuttosto disinteressato alla musica che passava il suo tempo studiando e leggendo letteratura d’epoca (Sterling Morrison); una batterista impossibilitata dalla gravidanza a prendere parte alle registrazioni e ciò malgrado accreditata sul disco (Maureen Tucker).

Tra le registrazioni estive e la data di uscita del disco, il 15 novembre 1970, Lou Reed aveva già lasciato la band. Il manager, Steve Sesnick, che gli aveva già detto “non m’importa se vivi o muori”, era probabilmente felice, libero com’era ora di realizzare il suo piano, rivelato dal retro della copertina: la foto vede il solo Doug Yule in uno studio pieno di strumenti e i crediti lo nominano prima degli altri e accreditato di suonare tutto. Non meglio era l’incongrua copertina fatta da un disegnatore che credeva che la band prendesse il nome dalla metropolitana (underground..). Reed intanto si era ritirato a casa dei genitori e in quel mese di novembre venne schiantato dalla vista e dall’ascolto dell’album. “La fine di Sweet Jane è stata tagliata via, la fine di New Age è stata tagliata via, l’assolo di chitarra su Train Round the Bend è stato sputtanato e corrotto” – disse – “Come si può essere così stupidi? Hanno tolto tutto la forza da quelle canzoni”. E più in là, avrebbe liquidato così l’album: “Lo chiamano ancora un disco dei Velvet Underground, ma in realtà è qualcosa di diverso”.

Forse non aveva torto perché il disco non entrò nemmeno nelle classifiche.  Malgrado le recensioni favorevoli: in fondo, era un album molto più accessibile dei loro precedenti. E malgrado le grandi aspettative che si erano create essendo il primo (e poi l’ultimo) album della band uscito per una grande etichetta come l’Atlantic. L’aspettativa era dichiarata fin dal titolo: “Loaded”, ossia “carico” di hit. Non ci fu niente da fare, malgrado i quattro singoli e che singoli, due di loro in particolare e avete già capito di quali sto parlando: Rock & Roll e Sweet Jane. Davvero uno non riesce a capacitarsi come sia possibile che, non solo non siano entrati in classifica ma che non ne siano ascesi ai vertici. Stiamo parlando di perfezione assoluta e il mancato successo può solo essere ascritto a un pessimo lavoro di promozione e distribuzione da parte della casa discografica, anche se non doveva essere felice spingere l’album di un gruppo il cui fondatore, autore e cantante se n’era andato prima dell’uscita.

Jenny raccontava che quando aveva solo 5 anni / Non succedeva proprio niente / Ogni volta che accendeva la radio / Non c’era proprio nulla d’interessante, proprio nulla / Poi, una bella mattina, mette su una stazione di New York / Capite, non riesce proprio a credere a quello che sente / Cominciò a muoversi con quella bellissima musica / Capisci, la sua vita fu salvata dal rock’n roll

In Rock & Roll, Lou Reed diventa autobiografico: “parla di me, se non avessi ascoltato il rock’n’roll alla radio, non avrei avuto idea che ci fosse vita su questo pianeta”. Naturalmente esagera, mettendosi nei panni di una bambina di soli 5 anni; probabile che la sua epifania non fosse stata altrettanta precoce, però questo è esattamente quello che successe a lui da piccolo, in periferia, circondato dal materialismo della famiglia (“due televisioni e due Cadillac”), finché non incontrò il rock’n’roll. Malgrado le persecuzioni dei genitori (“le accuse”) e della scuola (“le computazioni”), continua la canzone, “potevi sempre ballare con la stazione di rock’n’roll”. E a quanti altri non è successa questa cosa, da quando esiste la musica registrata, fino ad oggi? Quanti bambin* e ragazz*, si sono “salvat* la vita” con la musica della loro generazione? Compreso chi scrive. Compres* molt* di voi che leggete. E questi versi ci vengono consegnati con la precisione di pochi accordi, suonati a un tempo veloce ma non troppo, che è impossibile non ballare e con un cantato feroce, appassionato. 

Credit: Michael Ochs Archives/Getty Images

I Velvet Underground praticamente non esistevano più quando si registrava questo disco, o erano l’ombra di se stessi. Ma Lou Reed, in canzoni come questa era al suo massimo. Era all’apoteosi. Come anche in Sweet Jane. “In piedi all’angolo / Valigia in mano / Jack nel suo corsetto, Jane nel suo gilet / E io suono in una band di rock’n’roll”. Qui il nostro ci fa un racconto letterario e pieno di significati che meriterebbe ben altra analisi che la mia, parlandoci di amore, di tenerezza, dei vecchi tempi e condannando ogni cinismo, con una lucidità e una profondità sorprendenti per un tossicodipendente nemmeno trentenne. “L’innocenza di Sweet Jane” – è stato scritto – “è redimente, un contenitore di speranza, uno dei motivi per cui la canzone è ancora così popolare e amata. Insieme all’indelebile riff di chitarra a quattro accordi che è uno dei momenti più identificabili della storia del rock’n’roll”. Un’altra canzone perfetta: con i suoi pochi accordi, con la sua andatura lenta e sensuale, con la sua interpretazione vocale sguaiata e musicale al tempo stesso.

Non c’è nulla che si possa dire a queste due canzoni. Nulla che si possa criticare. Sono due capolavori assoluti e siamo certi di non abusare dell’espressione. Dirò di più: malgrado tutto, malgrado l’insoddisfazione di Reed quando ascoltò la resa su disco, queste che compaiono qui sono le versioni perfette. Incarnano la “perfezione rock’n’roll” se adottiamo uno sguardo storico di lungo periodo o, per restringerci, la “perfezione punk” che dischi come questo stavano inventando. Insomma, la perfezione di quella cosa che, per citare il nostro, “se ha più di tre accordi è jazz”. Non le tante versioni live, a cominciare da quelle famose e celebrate di Rock & Roll Animal. Non è la stessa cosa, sono altre canzoni non altrettanto perfette come in “Loaded”. A cominciare dal ritmo. Entrambe le canzoni qui sembrano trascinarsi; sembrano veloci e sembrano lente, ti costringono a muoverti e soprattutto ti costringono a cantare a squarciagola. E mentre le canti ti guardi dentro, ai tuoi sentimenti, mentre la band non perde mai il tempo. Che come le versioni live dimostrano, è difficilissimo da mantenere e allora, in concerto, si optava per correre, così come nelle tante cover.

Detto delle due canzoni perfette e che inspiegabilmente non resero  milionaria la band, il resto del disco invece riflette perfettamente quanto rilevato all’epoca da Lou: manca forza. Ci sono episodi che avrebbero meritato ben altro destino, come Cool It Down, New Age, Head Held High, Oh! Sweet Nuthin’, Train Round the Bend. Altro destino che quello di terminare in un disco fatto da un gruppo “caricato” con chimere di successo (ma anche “strafatto”, come il suo leader, che è l’altro significato in inglese di “Loaded”) e prossimo a scoppiare, in un disco che non entrò in classifica e schiacciate dalla coesistenza con due canzoni perfette. Poi ci sono delle cose che, francamente, per fare successo avrebbero dovuto uscire prima dei Beatles, come Who Loves the Sun e che nel 1970 già apparivano vecchie.

“Loaded” è il canto del cigno di una band che ha avuto una influenza sul corso della musica paragonabile solo a quella dei già citati scarafaggi e pochi altri. Un disco incompiuto, incoerente, tra picchi di assoluta grandezza e episodi minori, assemblato alla carlona, fotografia di una band sul punto di scoppiare. Al cui interno figurava un genio assoluto come Lou Reed, il quale però stava venendo marginalizzato dai suoi compagni d’avventura, distratti e pieni di risentimento (Morrison), ingenui e manipolabili (Yale), assenti fisicamente (Tucker), mentre un manager maldestro tirava le fila che portarono al fallimento definitivo di un brand, i Velvet Underground, del quale nel momento in cui cessò si pensava non sarebbe rimasto nulla. La storia e il tempo sarebbero stati molto più gentili, a dir poco, con la sua eredità. E anche con “Loaded”, del quale rimarranno comunque, per sempre, imperiture, almeno due tracce perfette consegnate per sempre alle vette della storia della musica più intelligente e più efficace mai scritta. 

P.S.: Delle innumerevoli cover che sono state fatte di Sweet Jane, l’unica che riesce a riprodurre l’emozione dell’originale l’ha fatta Miley Cyrus. È inutile che sbarriate gli occhi di fronte all’enormità dell’affermazione, andate ad ascoltarvela su YouTube la sua versione registrata dal vivo con una band che trova il tempo giusto alla canzone e non lo molla per un istante nel ripetere quei quattro accordi, mentre lei, Hannah Montana, proprio lei, canta con una potenza vocale e una intensità interpretativa che quando la trovate uguale avvisatemi per favore. 

Chiunque abbia mai avuto un cuore / Non si volterebbe mai indietro per spezzarlo / Chiunque abbia mai recitato una parte / Non si volterebbe mai indietro per odiarla / Sweet Jane, Sweet Jane / La-la-la-la-la-la

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