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Carver – L’altra Faccia Della Luna

2021 - Tataki Records
post industrial / spoken word

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Tracklist

1. E venne il giorno
2. Brianza
3. Testa alta
4. Ciao Vito Pt2
5. New South Wales
6. La Martesana Pt1
7. La Martesana Pt2
8. La fine di tutto


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L’altra faccia della Luna è quella che non vedi, famigerata oscura, che puoi raggiungere ma una voce nella tua testa ti dice di non farlo. È possibile ci sia qualcuno lì, o qualcosa, i mostri, nascosti nei crateri, in costruzioni lasciate lì da altri. Prima, dopo, ora. Che importa? Non ci andare, dice la voce.

Se decidi di ignorarla, e io consiglio di farlo, quello che vi troverai è un titolo. Un album, e i suoi fautori sono il Sig. Lupo e il Sig. Colombo. Carver, il nome con il quale decidono di farsi riconoscere, non ora, già da prima. Non vivono lì, nell’oscurità, o forse sì, sull’uscio, e la scrutano riconoscendone tutti gli abitanti, raccontandoli. Come Raymond Carver ma non oltreoceano, qui, a Milano e nel suo hinterland. Lo scandagliano. Macchine da una parte, umano dall’altra, assieme forgiano ciò che già vive al di là degli incubi.

La criminalità scavalca i cancelli d’inchiostro della cronaca nera e lasciano lo spazio al noir, la realtà narrazione, forse meta, oppure no, in presa diretta. È questo che fa di questo album la forza tremenda che è, il disagio che lascia interdetti, il dubbio. Chi sono questi due che assemblano musica così gelida, lasciati indietro gli strumenti che caratterizzavano il predecessore, eliminati, cancellati, resta solo questo futurismo dominante, melodie spettrali e poltergeist atonali sgorgano dalla mente del Selezionatore, si palesano pronte per quello che il Maestro di Cerimonie (cerimonie nate nell’abisso) ha da spiegare, quello che ha scritto e che ora è parte integrante della sua voce, bassa, brunita dal fuoco della solitudine e vicinanza al male.

I personaggi fuggono da quella gabbia d’ossa e carne, l’Australiano, Vito, Goran, uomini che sono vermi per via delle gambe spezzate, e sotto tutto si fa in mille pezzi, ambient, post-industrial, anzi come i paesaggi della Brianza, la Martesana, il cemento che si fa musica e il suo opposto, in picchiata fino al fondo del pozzo, in un inverno elettronico frastornante, con le onde quadre a infiltrarsi nella bruma e quella voce a far spavento che posa le sue spire sul degrado post-urbano dell’umanità.

Nessuno fa più dischi che fanno paura. Nessuno tranne i Carver.

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