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“Hypnotize”, tragedie storiche alla fermata dell’autobus

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Oggi è il turno di “Hypnotize”, ultimo album dei System Of A Down, storica band nu metal di origine armena operante negli USA e composta da Serj Tankian (voce), Daron Malakian (chitarra), Shavo Odadjian (basso) e John Dolmayan (batteria). 

Il loro sound, contraddistinto da sonorità tipiche del thrash metal anni ’80 contrapposte ad altre decisamente mediorientali, è sempre accompagnato da testi politicamente molto impegnati ed è proprio questo che sentiamo anche in “Hypnotize”, uscito nel 2005 per la Sony Music Entertainment in collaborazione con la American Recordings. 

Inutile dire che anche questa raccolta rientra negli ascolti che facevo da giovincella. I primi ricordi sono tornati a galla con Dreaming, seconda traccia dell’album; ricordi di me che vagavo tra le fermate degli autobus che mi avrebbero portato al liceo o a casa mentre ascoltavo gli articolatissimi vocalizzi di Serj Tankian che canta del genocidio armeno o della bassezza delle istituzioni americane. Situazioni come al solito improbabilissime, ma ormai abbiamo capito che il mio standard è questo. Le rievocazioni di questi momenti continuano con Holy Mountains, una delle canzoni forse più belle di questo album che, proprio per questo, è appena entrata a far parte della playlist “the angry adolescent in me likes this”, di cui parlo anche nel mio articolo su “Chaos A.D.” dei Sepultura. E poi abbiamo Lonely Day, che è anche tra le canzoni più conosciute dei SOAD, almeno stando a quanto ci dice l’algoritmo della loro pagina su Spotify. Ecco, devo ammettere che il ritornello del brano, in cui si sente chiaramente un bel “the most loneliest day of my life” mi disturba un attimo, ma immagino e spero sia fatto apposta.

U-Fig, settima traccia di “Hypnotize”, è l’esempio meglio riuscito della contrapposizione tra sonorità thrash metal e suoni probabilmente appartenenti alla tradizione musicale armena, che ricorda un po’ la musica folk dell’Italia meridionale e i suoi mandolini, anche se si sentono le provenienze mediorientali di certi modi di articolare la voce o di alcuni ritmi che, in maniera del tutto sorprendente, sono riprodotti con strumenti elettrici che sicuramente non erano o sono utilizzati nella tradizione musicale armena. Anche in Vicinity Of Obscenity si possono notare questi suoni tradizionali, a cui si aggiungono strofe di cantato velocissimo, praticamente rap, e ricco di assonanze/consonanze, proprio come piace a Serj Tankian – ‘Wake up! Wake up! Girl why don’t you put on a little make up?’ Vi ricorda qualcosa? – accompagnato da riff di chitarra altrettanto veloci.

Insomma, pur essendo l’ultimo album dei SOAD, “Hypnotize” non ci delude, neanche dopo sedici anni dalla sua pubblicazione. Loro sono come sempre riconoscibilissimi nei loro sound unici ed è questo che conta; avere un’identità forte, anche nonostante la non particolare ricercatezza di alcuni passaggi – che in realtà non fanno altro che rendere la loro musica più affrontabile, trattandosi di metal – è davvero fondamentale per mantenere vivo lo spirito di devozione della fandom, e credo proprio che i System Of A Down ci riescano egregiamente. A quando una reunion e un nuovo album?

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