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Interviste

Brother, Where Art Thou?: intervista a Marco Ligabue

Marco Ligabue

Se hai un fratello di dieci anni più vecchio che improvvisamente decide di ballare sul mondo e vincere una delle manifestazioni musicali più importanti dei primi anni ’90, al ritmo di un refrain di matrice Springsteeniana, a te, che l’osservi estasiato, rimangono due alternative. In entrambi i casi la tua vita potrebbe non riservarti momenti eccessivamente rosei accompagnato dalla perenne convinzione di esserti accomodato sulla piazza d’onore. Puoi accettare il suo successo sostenendolo, oppure puoi invidiarlo perché è riuscito a canalizzare la propria passione in una professione che ha catturato anche te che da qualche anno recuperi ogni LP dell’orbe ricercando anche quelli dispersi dei decenni precedenti.

Se poi dopo qualche anno decidi d’ imbracciare la chitarra e scrivere canzoni, la strada, sempre per te, potrebbe essere impervia. Inizi come chitarrista rockabilly assieme a Little Taver, idolo rock della bassa reggiana, in una band in grado di dare vita a spettacoli degni dei Blues Brothers. Poi fondi I RIO. Sei autore e chitarrista, parti dal genere Tex Mex, che ti ha rapito lungo la strada dei tuoi numerosi viaggi, arrivando lentamente e progressivamente a sfornare hit come Il Gigante, cantata in coppia con Fiorella Mannoia.

All’inizio degli anni ’10, quando finalmente le radio si accorgono di voi, il pubblico aumenta in maniera esponenziale e le cose iniziano a girare, decidi di ripartire nuovamente da zero incuriosito dall’idea di coronare il sogno di una vita: cantare in veste di solista le tue canzoni, sfornando hit a ripetizione, mischiando il pop, la musica leggera e pezzi elettrici, soprattutto nel corso di numerosi concerti che per un attimo, o forse due, fanno dimenticare di chi tu sia fratello ma che alla lunga daranno il termometro di quello che è il tuo talento, a dimostrare che la tua scelta non sia stata assolutamente sbagliata e che per il cognome Ligabue ci sia sempre posto nel mondo della musica anche se di nome non fa Luciano.

Lo abbiamo incontrato a margine della pubblicazione del suo nuovo libro “Salutami tuo fratello“.

Parlaci di te, ovvero le tue origini, credo che sia scontato pensare che una famiglia così addentro alla musica, iniziando dai tuoi genitori, abbia creato una ragione più che valida per innamorarsi del settore.

Io e mio fratello proveniamo da una famiglia in cui i nostri genitori erano entrambi appassionati di musica, una passione che durante la loro infanzia non avevano potuto coltivare causa le restrizioni del dopoguerra. Infatti è solo a partire dagli anni ’70, e dopo mille lavori per mantenersi, che fondarono una balera in cui il sabato si faceva il liscio mentre fra settimana si alternavano concerti di ogni genere, tanto per dirti e fra quelli che ricordo: Guccini, Ricchi & Poveri, Ivan Graziani, Andrea Mingardi. Per tornare alla domanda credo sia scontato pensare che la presenza di un fratello travolto da un successo così incredibile mi abbia dato quell’ultima spinta a gettarmi sul palco e a provarci, anche se poi il pubblico lo devi conquistare volta per volta perché l’effetto: “andiamo a vedere il fratello di” si spegne molto velocemente. Posso però dire che fra una coppia di genitori come i miei e un fratello così talentuoso, la mia possa apparire come una vita da predestinato.

Leggendo la tua biografia abbiamo capito quanto gli U2 abbiano saputo catturare la tua passione, ma chi altri ha saputo influire sulla tua musica e per quale ragione?

Inizialmente mi ha catturato la scoperta del rock anni ’50. Mi ricordo che ascoltavo i padrini del R&R da Elvis a Chuck Berry, con la loro carica e la loro voglia di vivere. Per rimanere nel perimetro degli anni ’80, in cui iniziavo ad ascoltare musica, mi hanno formato gruppi come gli U2, i Simple Minds, i Police, ma anche Springsteen e i Dire Straits di Mark Knopfler, il tutto senza disdegnare il punk dei Clash. Nel complesso quelli erano anni in cui la musica che si poteva ascoltare era di grandissimo livello e molto sfaccettata.

Le tue origini emiliane sono sempre sottolineate nei tuoi testi, in quel che dici e soprattutto nella scelta di non allontanarti dal tuo paese d’origine. Come mai una scelta così ortodossa sapendo che nonostante l’avvento della digitalizzazione e l’abbattimento delle barriere, siano a Milano e a Roma i centri di potere della musica in Italia.  

A esclusione del clima, sul quale scherzandoci dico sempre: “Per fortuna che è pessimo, altrimenti tutti vorrebbero venire a vivere qua”, musicalmente l’Emilia non ha nulla da invidiare a nessun’altra regione o piazza. Se desideri ascoltare musica leggera o cantautoriale sa sfornarti artisti come Bersani, Mingardi, Guccini, Dalla e Cremonini. Nel Rock ti sa offrire autori del calibro di Ligabue e Vasco Rossi. Nella musica classica ti offre Verdi e Pavarotti, se deve farti un formaggio ti crea il Parmigiano Reggiano senza dimenticarci delle auto e delle moto. Poi da notare come chi è emiliano difficilmente si sposti da queste terre, e io non faccio di certo eccezione. La mia scelta di restare a Correggio, un paese di poco più di ventimila abitanti, è dettata dai ritmi del piccolo paese e dal porto sicuro che questi sa offrirmi dopo le tournee in giro per l’Italia. Un paese dove mi sento di tornare a essere il Marco di tutti i giorni che con i ritmi di casa può permettersi di fare la cosa più normale del mondo come andare al bar a fare quattro chiacchiere con gli amici.

Se si segue la tua evoluzione artistica hai cominciato con Little Taver, proponendo, come del resto ci diceva lo stesso Taver, più che altro una performance e non solo un semplice concerto, parallelamente hai portato avanti i Rio e li hai abbandonati nella parte ascendente della loro carriera quando eravate in rampa di lancio, per iniziare a cantare esibirti da solo, qualche rimpianto oppure no?

Il primo periodo con Little Taver, che coincideva con i miei venti e trent’anni, era perfetto per quella fascia d’età in cui hai voglia di divertirti senza pensare molto al domani. Successivamente, in un periodo che va dai trenta ai quarant’anni, ho iniziato a scrivere canzoni e quindi ho fondato i Rio e in cui ho cambiato completamente genere iniziando a esplorare nuove sonorità. Arrivato ai quaranta ho capito che avevo ancora voglia di ricrearmi anche grazie a nuove canzoni che stavo scrivendo e che volevo cantare in prima persona, purtroppo ben sapendo che di fronte avevo un muro quasi invalicabile, perché essendo il fratello di Luciano Ligabue era impensabile credere che ce l’avrei fatta. Scegliere di lasciare i RIO, in un momento di successo, fu tutt’altro che semplice ma pur essendo consapevole dei rischi che mi sono preso, ripartendo veramente da zero, non cambierei mai questo momento con quelli precedenti perché ora mi sento realizzato artisticamente e non ce la farei più a essere parte di una band mettendomi di lato e limitandomi a suonare la chitarra. 

La domanda è molto scontata ovvero oltre alla presenza di due genitori che non credo ti abbiano ostacolato per intraprendere una carriera artistica, quanto ha influito nelle tue scelte la presenza di un fratello che può averti fatto di certo da apripista ma in un certo qual modo anche da ostacolo. Lo dico perché leggendo la tua biografia è vero che il vostro rapporto non risulti scalfito anzi delle due si sia rafforzato, ma al tempo stesso a volte il leit motiv “Salutami tuo fratello” sembra quasi un “mah, sai, ci aspettavamo che suonassi un genere più simile a Luciano”.

Umanamente è qualche cosa di incredibile e quando vengo raggiunto da quella richiesta di saluto mi fa sempre piacere perché mi sento parte del suo successo. Professionalmente è ovvio che tu venga etichettato con “sei il fratello di” e non sempre è piacevole anche se sono arrivato alla carriera solista solo a quarant’anni ed ero già stato raggiunto più e più volte da quella battuta. Per fare un esempio: alcune radio inizialmente non volevano nemmeno ascoltare i miei pezzi perché: “abbiamo già un Ligabue un secondo non ci interessa” e solo con i concerti e con il tempo sono riuscito a impormi prima di tutto con il pubblico.

Riallacciandomi alla domanda precedente pur amando il rock ora ti sei spostato più verso la musica pop e leggera, come mai questa scelta? che personalmente apprezzo da un lato ma che dall’altro mi fa gridare vendetta per un genere che amo follemente.

Mi giudico con una doppia faccia. Se da un lato le mie canzoni sono meno rock e maggiormente pop, dato che ho scelto di scrivere con l’aiuto della chitarra acustica che per certi pezzi, maggiormente introspettivi, è l’ideale. Dall’altro lato, sul palco, i miei concerti sono pieni di energia con al massimo due ballate mentre per il resto faccio e propongo solo ‘pezzi tirati’.  

Nella tua carriera hai sempre dato grande spazio al sostegno di cause nobili e non è assolutamente da tutti. Come mai? E in base a cosa scegli le cause da appoggiare?

Cerco di scegliere cause che siano sostenute da persone che mi convincano trasmettendomi la loro necessità di aiuto. Per fare qualche esempio: parlando con un gruppo di genitori di ragazzi sordi, ho pensato di scrivere un testo in lingua Lis, perché anche i figli potessero provare le loro stesse emozioni ascoltando i miei pezzi. Oppure ho scritto “il Silenzio è Dolo” un pezzo dedicato alla lotta alla mafia in cui sostenevo la lotta di un giovane ragazzo di Villabate (La futura Iena Ismaele La Vardera – nda) appassionato di giornalismo d’inchiesta e per questo isolato da tutti. Dove c’è la possibilità di dare una mano concreta credo che la musica sappia essere una grande fonte d’aiuto e dare anche visibilità.

Domanda scontata a quando il prossimo LP? 

Dal prossimo anno uscirò con nuove canzoni, ma non credo immediatamente sotto forma di disco perché ho notato che la condivisione di un pezzo alla volta su piattaforme quali Spotify e i vari social, esattamente come ho fatto con il mio ultimo lavoro (Tra Via Emilia e blue jeans – nda), sia la scelta ideale. Arrivando poi a chiudere il cerchio con l’uscita di un disco che includa tutti i pezzi che altrimenti andrebbero fruiti troppo velocemente per poi passare ad altro.

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