Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Signs Of The Dying Summer – Oto Jest Pustka

2021 - Godz Of War
black metal / experimental

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Oto Jest Pustka I
2. Oto Jest Pustka II
3. Oto Jest Pustka III
4. Oto Jest Pustka IV
5. Oto Jest Pustka V
6. Oto Jest Pustka VI


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Mi trovo nel cuore di una notte insonne e sono nervoso quel tanto che vorrei massacrarmi di benzedrine allucinanti, se esistessero nell’armadietto dei medicinali di casa; robe che non esistono, se non forse solo nei sogni ilari di qualche buontempone casalingo avvezzo a coglionarsi da solo prodigandosi a sballarsi di noci moscate addizionate di spray moschicida. E quindi avanti tutta! Per sopravvivere a questa notte insulsa non ho di meglio da fare che dedicare ore silenti a questa band che non ho ancora capito da dove viene, ma ve lo dirò in seguito.

Sei bombe nel loro armamentario bellico, perché di pace e yoga qui non se ne parla, le quali sembrano tombe indemoniate ove al loro interno succede di tutto et molto karasciò, per citare, lo so è un mio chiodo fisso, A-lex.

Oto Jest Pustka (Questo è il vuoto) è il titolo dei sei brani qui inseriti e tocca fare operazione di spionaggio per riuscire a capire di cosa parlano e in che idioma danno voce alla personale furente acredine espressiva mitigata da arpeggi dark-romantici, come suggerisce il finale, e non solo, del primo outfit sonoro. Loro, i Signs Of The Dying Summer ci provano con molta passione a irretirti col metallico suono e ti mettono pure a dura prova con quel registro appena descritto, forse obsoleto, ma comunque sempre ultra-necrotico, un assist binoculare che aiuta a guardare la luna piena autunnale dalla parte non visibile della città in cui abiti.

Il secondo paragrafo vuole solcare profondamente l’anima, ma i demoni che evoca la voce appaiono come una variazione alla pubblicità di quel prodotto… – ma siete out, chi cavolo la guarda la pubblicità -; comunque, intendevo la monotonia vessata da un alone perverso di cattiveria, ricamata, sferruzzata a dovere da un caprone seduto su un trono di pietra nordico in riva al mare glaciale del nord (in notturna estiva), che mi predispone a indagare quali sono stati i loro ascolti primigeni onde creare una musica siffatta. Sono cresciuti a pane e pipistrelli o a pane e Lilith?

Non mi impressionano, ma mi fanno incommensurabile compagnia, mentre tracanno sangue di vergini ottuagenarie spillate dal fido maggiordomo della band, Spenalzo, un poco di buono con buona attitudine a spillare sangue da vecchiette immacolate (il suo chiodo fisso) e imbottigliarlo. Che schifo: blurt!

Tuttavia mi piace questa verve in quiet-progressione tempestosa che attraversa la vena creativa dei quasi lunari Signs Of The Dying Summer, invero un po’ licheni e un po’ muffe, che mi riporterebbe a quando trecent’anni fa, giovincello, succhiavo dai miei canini liquido caldo da colli lisci, carotidei pulsanti e morbidosi di pulzelle altolocate. L’arte non è solo innovazione ma ambientazione, come il teatro, se ci caschi dentro vuol dire che sei stato risucchiato dal vortice dell’atemporalità incondizionata a cui arrendere i sensi e le percezioni. Di qual a-tempo parlo dovresti saperlo.

Line-up: A. Sarg – voices; Sadogoat – guitars; Uhu – programming. Capite di che mostruosità si va cianciando. Tre esserini malefici hanno la pretesa di dipingere scenografie sonore come Munch alterato da psilocibina, comprensivi della sua fredda violenza sferzante, a parte che qui i colori, in “Oto Jest Pustka“, non evadono dalle gradazioni bianconere neonizzate e vivificate da fiammate ossidriche streganti, versanti sul blu Balestra, mentre la parola “Summer” non scalda molto entro codesto contesto pesto e molto buio.

L’etichetta, Godz Of War, ha carpito secondo me il potere malefico della band, intercettandolo secondo punti cardinali non estranei alla geografia black, ma che nella loro lineare azione perseverante inducono a farne un ascolto di valore e di mistero che nasce da suggestioni altre di band come i nostrani Rivolta dell’Odio; quella base sonora scarna e ribollente dimenticata da Dio che in qualche modo è infusa nelle acque torbide di questa stilosa band from Poland. Ma spero di sbagliarmi di poco, per il loro bene.

Il sesto pezzo dà un senso alla mia notte e forse è ora che mi trasformi in pipistrello orientato a cacciare prede avventurandomi in malie dark, ben accompagnato da questo album, che, pur non mostrando nulla di sorprendente, spiega oscuramente d’aver ben acquisito lezioni ancestrali del genere post mortem (e punk wave in vagheggiata battuta), pronto a servirti un fedele scenario attraverso cui poter chiedere desideri di magia, infiorettata di nero.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni