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I 50 anni di “Islands” dei King Crimson: bellezza da un altro mondo

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I primi quattro dischi dei King Crimson uscirono nell’arco di soli 26 mesi tra l’ottobre 1969 e il dicembre 1971. Una prolificità non così inusuale in quell’era discografica, malgrado le vicissitudini che contraddistinsero la band in quel periodo. Quella di “Islands” fu infatti la quarta formazione in quattro dischi. 

Dopo la dissoluzione della band di Lizard, avvenuta prima di poter portare il disco in tournée, Robert Fripp, sconfortato, affidò a Mel Collins il compito di reclutare i membri necessari a riportare il gruppo sulla strada: un bassista e un batterista, oltre che un cantante. 

“L’unica cosa che ricordo era che Robert si arrese completamente, dicendo che non c’era alcuna speranza. Fu così traumatico che a quel punto non poteva più gestire la cosa e arrivò a dirmi che se volevo continuare con i Crimson e se volevo mettere insieme la band, sarebbe toccato a me condurre le audizioni” – ricorda il fiatista – “E allora eccomi in questa sala prove audendo bassisti e batteristi da solo, inesperto com’ero all’epoca – un sassofonista che non conosceva nemmeno bene le canzoni”.

“Ma ero entusiasta di farlo e se ci penso oggi, non so come ho fatto. Venivano, parlavamo e jammavamo. Roba da pazzi, davvero. Veniva ogni sorta di completi disperati che trovavano il modo di presentarsi e Robert mi usava come filtro. Non era certo stupido. Alla fine Robert si animò un pò e si coinvolse nella cosa. Se trovavo qualcuno, dovevo allora ri-audirlo con Robert e Peter (Sinfield); un po’ bizzarro”.

Pian piano i tasselli andarono a posto. Keith Emerson raccomandò il batterista Ian Wallace, un appassionato di jazz con qualche esperienza professionale. Per altre vie arrivò il cantante Box Burrell, che piacque subito a Fripp: anche lui un “jazz-freak” con una decente carriera in gruppi R&B. Ma il bassista non usciva fuori. 

Alla fine, incalzati dalla necessità di andare in tour Fripp decise d’insegnare a Burrell come suonare il basso. Racconta il chitarrista: “Avevamo avuto un sacco di musicisti competenti alle audizioni ma non avevano il feeling giusto. Boz sentiva le parti di basso mentre cantava, mentre i musicisti potevano suonarle ma non sentirle. E se le poteva sentire, era solo una questione di tempo prima che strisciassero giù dalla sua testa alle sue mani e alle sue dita.”

“Non trovavano un bassista perché, in quel momento, Bob Fripp scriveva canzoni e le sentiva nella sua testa e non dava a nessun altro membro della band nessun margine di manovra per esprimersi” racconta Burrell – “Voleva sentirle esattamente come le sentiva nella sua testa. Allora, ho dovuto imparare a suonare il basso al modo dei pappagalli, se capisci cosa voglio dire”.

Così, il 12 aprile 1971, il re cremisi riprese la sua attività live, dopo quasi un anno e mezzo di assenza dal circuito. E a settembre la band tornò in studio. “Islands”, uscito il 3 dicembre, fu il parto della nuova line-up, cui si aggiunsero i contributi del solito Keith Tippett al piano, Paulina Lucas alla voce, Mark Charig alla cornetta, Robin Miller all’oboe, Harry Miller al contrabbasso, Wilf Gibson al violino e una piccola orchestra d’archi.

Ci si riferisce spesso a “Islands” come a “il disco jazz” dei King Crimson, definizione solo in parte accurata. Certamente i musicisti che hanno accompagnato Fripp e Sinfield in questa opera avevano una certa passione per il genere. L’atmosfera, in molti passaggi, è quella, con una predilezione per la sperimentazione alla Miles Davis. Ma in “Islands” c’è molto di più. C’è innanzitutto Sailors’ Tale, uno dei picchi assoluti della produzione decennale della corte del re cremisi. Basso e batteria si lanciano in una rapida base jazz per un tema strumentale declamato all’unisono da Collins e Fripp, che lascia la scena prima allo straziato assolo di sax e poi a un incredibile assolo di chitarra, uscito dal nulla nella solitudine dello studio di registrazione alle due di notte. “È il suono del manuale dell’assolo di chitarra mentre viene strappato, tritato e lanciato in alto come fossero coriandoli”: questa la descrizione definitiva dell’assolo fornita dal biografo ufficiale del re cremisi, Syd Smith

“L’assolo era, ed è, di un altro mondo. Tecnicamente, quello che fa la mano destra è possibile solo per qualcuno familiare con il banjo…..In piena notte, con il problema di dover suonare un assolo, non avendone di disponibili, un giovane chitarrista si trovava in uno stato di necessità. E qualcosa di eccezionale successe” – racconta Fripp.

Sempre Smith: “in fin dei conti, l’assolo di chitarra e la sua rumorosa coda sono il salto dallo stile sinfonico e jazz degli album precedenti, in un mondo più acuminato, più metallico, che attendeva di rivelarsi. Da qualche parte, in quel nervoso sfilatino di accordi e note, Fripp stava disegnando una nuova idea di dove voleva trovarsi.”

C’è poi Ladies Of The Road, tra blues licks, coretti beatlesiani, sax sguaiato e Box che canta filtrando la voce in un secchio, mentre è in preda ai postumi di una micidiale sbronza. Nel complesso, una bellissima prova di coesione musicale della band. Il testo è un altro gioiellino di Sinfield: una carrellata degli incontri della band con le groupies durante i tour. Nella sua stessa, successiva, descrizione: “i testi più sessisti della storia”, ma efficaci nel descrivere le dinamiche tra rockstar e groupies all’epoca.

La figlia di una fioraia / fresca come lacqua santa / disse Sono la reporter della scuola / ti prego istruiscimi” / Bene, lho istruita / Una sorella con due dita alzate / disse Pace”, mi son fermato e lho baciata / Disse So resistere agli uomini” / Io ho sorriso e lho spogliata / Una tuffatrice cinese /capelli e reggicalze neri / disse Per favore, non mi lasciare / voglio solo sentire la tua Fender

Su questo tema, esiste un gustoso racconto di Wallace e Fripp su un concerto che fecero in Michigan nei locali di una chiesa non confessionale. Dopo il concerto, il pastore della chiesa organizzò per la band una festa con ragazze. Mentre i musicisti pomiciavano con le ragazze, il pastore scattava foto Polaroid e sua moglie distribuiva preservativi: “una pensatrice progressista”, la consegnò alla storia Fripp.

Song Of The Gulls è una semplice melodia eseguita da una piccola orchestra d’archi e dall’oboe, diretti da Fripp: “Diressi l’orchestra d’archi composta da esperti musicisti londinesi, usando una matita. Mi fecero il favore professionale di ignorare le mie indicazioni. Non ho mai saputo chi di loro stava discretamente conducendo”.

Molto gradevole sicuramente l’iniziale Formentera Lady, ma appesantita da una durata eccessiva (oltre 10 minuti) durante la quale la canzone gira sempre su se stessa. Tra le cose migliori del pezzo, il testo di Sinfield, evocativo di una sua visita nell’isola delle Baleari, meta della comunità hippie dell’epoca. La canzone darà il titolo a un film del 2018 sulla comunità hippie nell’isola 50 anni fa e giustificherà l’istituzione di una strada intitolata ai “King Crimson” a Formentera, i cui abitanti hanno fatto sapere di non saper nulla né della band, né della canzone. 

The Letters sconta forse un eccessivo melodramma anche nel testo, ma consente alla band di regalarci momenti di free-jazz non comuni all’interno della discografia rock dell’epoca.

Elogio dovuto infine per la title-track, un capolavoro: quasi 12 minuti, comprensivi di diversi minuti di silenzio e una hidden track finale con le prove dell’orchestra per Song Of The Gulls. In sé, Islands comprende una delicata e bellissima interpretazione vocale di Burrell, accompagnato da Collins al flauto, da Tippett e dall’oboe di Robin Miller; un bellissimo assolo di Charig alla cornetta, sostenuto da mellotron, harmonium e pianoforte; e un testo etereo e profondo sulla connessione umana, che sviluppa il tema del disco, sugli umani che non sono isole, ma parti di un continente: 

Scure banchine del porto / come dita di pietra / si allungano bramose dalla mia isola / Carpiscono le parole dei marinai / Perle ed angurie / sono sparse sulla mia riva / Come innamorati, legate in cerchio / Terra ruscelli ed alberi ritornano al mare / Onde lambiscono la mia isola / portando la sabbia lontano da me /Al di sotto del vento che si trasforma in onda / Pace infinita / Le isole uniscono le mani / Sotto il mare del paradiso

“Islands” si conclude con questa apoteosi poetica, con cui terminò, discograficamente parlando, questa incarnazione del re cremisi. Il futuro sarà molto diverso e comprenderà Bill Bruford, John Wetton e la fondazione di nuove musiche e il raggiungimento di nuovi gloriosi traguardi. Un’altra storia. In quel dicembre 1971 “Islands” si staglia come un’opera a sé, proveniente da “un altro mondo” come dice Fripp, cosparsa di quella bellezza rara che solo un disco ogni tanto produce e che ha resistito alla prova del cinquantesimo anniversario, consentendoci oggi di consegnarla all’eternità.

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