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“1984”, quel salto che donò gloria eterna ai Van Halen

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L’anno lo conosciamo e – come recita la copertina sovrastante in numeri romani – il 1984 è stato sicuramente caratterizzato da grandi successi musicali: basti pensare ad I Just Called To Say I Love You del magico Stevie Wonder, a Radio Ga Ga dei Queen, a Careless Whisper di George Michael – anche se sarebbe più corretto attribuirla agli Wham! – o ancora all’emozionante Against All Odds (Take A Look At Me Now) di un ispiratissimo Collins solista.

Ma il 1984 è stato “anche” l’anno di quella band che – ahimè – oggi viene ricordata principalmente per una delle hit più importanti e rappresentative di quel periodo, e ovviamente mi sto riferendo all’iconica Jump: hit, appunto, che – a colpi di tastiera e per gentile concessione di MTV – fece la fortuna dei Van Halen e del loro sesto album in studio, il quale per molti anni – e, per la precisione, fino al 2012 con “A Different Kind Of Truth” – è stato l’ultimo registrato con l’inimitabile David Lee Roth a fare da frontman. 

Amato ed odiato dagli stessi fan del gruppo, “1984” non poteva che essere un disco divisivo sia all’interno che all’esterno, data la netta prevalenza – in brani cruciali come le trainanti I’ll Wait ed ovviamente la già citata Jump – dei sintetizzatori e delle tastiere sulle chitarre – un vero e proprio spreco quando sai di avere a disposizione un Edward Van Halen in formissima e fresco di un brillante assolo registrato per Beat It di Michael Jackson –, ed una maggiore orecchiabilità del sound, che non può mai fare troppo male, soprattutto in termini commerciali. 

(Photo by David Tan/Shinko Music/Getty Images)

Perché, siamo onesti, i risultati – tanto dal punto di vista delle vendite, quanto da quello qualitativo – diedero senz’altro ragione alle discusse scelte stilistiche prese dall’esplosivo quartetto statunitense, che riuscì infatti a portare a casa un’ottima sintesi di forma e contenuto in cui ogni membro sembra ancora oggi dominare nel proprio ruolo: Roth è vocalmente in stato di grazia, Eddie ricorda perfettamente quanto fatto nei dischi precedenti – con un occhio di riguardo verso i primi due –, Alex picchia sulla batteria senza fare troppi complimenti e, infine, Michael al basso non può che accompagnare in maniera altrettanto egregia quell’invidiabile sintonia di gruppo.  Elementi di hard rock puro – la cui assenza fu contestata dai più affezionati sostenitori della prima ora – sono invece ancora presenti e sarebbe da pazzi anche solo immaginare di poterli negare: pensiamo, infatti, alla trascinante e potente Drop Dead Legs, ad Hot For Teacher, a Girl Gone Bad o alla conclusiva House Of Pain, dove le tanto vituperate tastiere di Jump ormai non sono che un lontano ricordo – relegato giusto ai primi minuti dell’opera –, spazzato via dall’inconfondibile classe e dall’innegabile virtuosismo messi in campo dal minore dei fratelli Van Halen

Insomma, un disco discusso e criticato – tanto negativamente quanto positivamente – che proietterà la band di Pasadena nell’Olimpo della musica che conta, quella che non sarà mai dimenticata, quella che, anzi, si farà manifesto di un preciso periodo storico. E così, il tanto agognato successo del loro indimenticabile album di debutto fu quasi replicato, dato che “1984” si posizionò per ben cinque settimane consecutive al secondo posto della Billboard 200 – dietro soltanto a “Thriller” di Michael Jackson –, ma d’altronde sappiamo bene come andrà a finire questa storia: l’anno successivo – durante il tour promozionale del disco – nascerà un malcontento all’interno del gruppo che porterà David Lee Roth – sostituito poi da Sammy Hagar – ad abbandonare la formazione il 1° aprile 1995, in quello che avrebbe potuto essere nient’altro che un “simpatico” pesce d’aprile.

Il resto è storia nota: i Van Halen, orfani del loro storico cantante, non riusciranno più a ritrovare la freschezza e la grinta – di cui “1984” si fece certamente interprete – che avevano caratterizzato i primi lavori. Ed oggi – a ben 38 anni di distanza dalla sua uscita – ci ritroviamo qui, a festeggiare il compleanno di un disco – difficile sin dalla sua nascita – che nonostante tutto fu capace di conquistare il mondo intero, in quella stagione particolarmente ricca di momenti memorabili. Una stagione che d’altronde incoronò i Van Halen a padroni incontrastati dell’hard rock. 

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