1. Drone
2. Snob Pineapple
3. Detroit's Son
4. Baking Bread
5. Waltzer Matthau
6. Ornamentalities
7. San
Che l’ambiente influenzi pesantemente un album non è affatto cosa nuova, solo che lo si dimentica molto più spesso di quanto non si dovrebbe. Sarà che oggi viviamo in luoghi-non luoghi e ci siamo dimenticati di quelli reali, che hanno un odore e una storia e che poi questi posti abbiano o meno un’influenza sul regno del sogno, manco questa è una scoperta.
Al limitare di quel reame, ai piedi della scalinata che porta giù a fondo stanno di Drone San. Nicola Pedroni e Andrea Sanna conoscono il segreto di come passare da qui a là per cogliere i frutti dell’immaginazione, incamerandone le spire di terrore per dipingere un mondo altro. Lo fanno in tanti, non tutti lo fanno bene, e nell’eponimo “Drone San” c’è quel qualcosa in più, quella “chiave d’argento” che è necessaria al superamento della soglia.
“Post-jazz per post-umani” descrive benissimo ciò che il duo ha creato, passando dallo studio ai boschi della Sardegna, dai boschi alle domus de janas, e il viaggio a ritroso per imprimere su disco quanto hanno sentito ha dato i suoi frutti. Ambience sospesa appena sopra la testa, synth morbidi e tensioni ritmiche si alternano per poi intensificare la propria fantasmatica presenza.
Codificazioni funk atomizzate, black music aliena e straniante il cui groove implode per torcersi sulla melodia per poi ricacciare fuori fiammate vangelisiane ottenebranti spinte da pulsioni meccaniche aliene che spingono le composizioni altrove, e non è chiaro se sia in alto o in basso, perché lo stomaco viene a tal punto investito dai bassi che si fatica ad orientarsi in questo sconfinato dedalo fantascientifico a propulsione motorik.
Se la cerca di Kadath l’ignota avesse una sua colonna sonora sarebbe “Drone San”. Date un walkman a Randolph Carter e via, il gioco è fatto.