Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Vintage Violence – Mono

2021 - Maninalto! Records
alt-rock

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Piccolo tramonto interiore
2. Have a Nietzsche day
3. Dio è un batterista
4. Zoloft
5. Paura dell’Islam
6. Prato fiorito
7. Capiscimi II
8. Astronauta
9. Dicono di noi
10. La chiave


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Dopo sette anni d’attesa tornano i lecchesi Vintage Violence. Risale infatti al 2014 “Senza paura delle rovine”, l’ultimo disco di inediti, che vantava la collaborazione di Enrico Gabrielli degli Afterhours e di Karim Qqru degli Zen Circus. Il passaggio successivo è stato “Senza barrè” (2018), un disco totalmente acustico nel quale sono stati ripresi alcuni pezzi dai precedenti album.

Dopo un paio d’anni di intenso lavoro sugli inediti, ecco quindi “Mono”, un long in dieci tracce attraverso il quale Nicolò Caldirola e soci si immergono completamente nel vivere quotidiano di questi tempi, tra frenesie, dispersione dei valori e gli ormai dominanti social network.

Paradossalmente, l’accumulo di informazioni e di conoscenza senza alcun valore aggiunto ci fa tornare tutti ai primordi, uno scenario che come suggerisce l’artwork di copertina somiglia maledettamente a quello di 2001: Odissea nello spazio. Osservando bene la realtà odierna, in effetti, non ci sono molte differenze rispetto a ciò che aveva immaginato Kubrick al tramonto degli anni ’60: è un’umanità che corre dietro ai simulacri (il monolite nero), che ha ampiamente conquistato lo spazio, si avvale delle tecnologie più avanzate nella vita di tutti i giorni, ma va inesorabilmente in contro alla resa dei conti con l’intelligenza artificiale.

Il primo singolo e traccia iniziale Piccolo tramonto interiore è la fotografia perfetta della modernità, perché tutti prima o poi ci siamo trovati a votare per il male minore, trovandoci poi a lottare per un mondo peggiore. La successiva Have a Nietzsche day è la naturale prosecuzione: come affermava il filosofo tedesco nella sua fase nichilistica, la libertà passa dal superamento delle credenze religiose, ma al tempo stesso comporta piena assunzione di responsabilità da parte dell’uomo in riferimento alle sue azioni. Riflessioni metafisiche ed esistenzialiste anche in Dio è un batterista, che conclude l’iniziale ed energico terzetto.  

Le atmosfere – almeno inizialmente – più pacate di Zoloft, in collaborazione con Nicola Manzan, (Bologna Violenta), citando gli Afterhours sono il pretesto per indicare nel famoso antidepressivo la soluzione a tutti gli oscuri mali d’epoca moderna. Un passaggio sull’analfabetismo funzionale, disturbo molto diffuso nel XXI secolo, è obbligatorio: così Paura dell’Islam ricorda ancora una volta, tra continui cambi di tempo, che l’essere umano non sceglie il posto in cui nasce, quindi essere orgogliosi delle proprie origini è questione abbastanza naturale.

La breve Prato fiorito – che gioca sulle contrapposizioni usando la metafora del noto videogame – è una porticina che si apre su Capiscimi II, una vera e propria fiera dell’ipocrisia nella quale chiunque mette in atto i comportamenti più contraddittori in nome di un concetto di libertà del tutto soggettivo e non ben delineato. Con diverse declinazioni i temi sono i medesimi in Astronauta, laddove però si torna a correre forte, a ritmi decisamente punk.

La divertente Dicono di noi sembra uscita da un disco degli esordi di Elio e le Storie Tese: racconta ed elenca tutti i pareri raccolti dalla band in giro attraverso i vari canali interattivi, scoprendo che qualcuno li ha definiti contemporaneamente buonisti, ma anche satanisti. La conclusiva La chiave è autocelebrativa, i Vintage amano il rock duro, fuori dal successo imposto dai canoni televisivi ma nel quale ogni nota è lì dove deve essere. Perché ogni canzone è un pianto nel cuscino che non fai. A parte una leggera ridondanza nei testi, che non spezza con decisione dai toni polemici di critica nei confronti della società moderna, “Mono” è davvero una rivelazione.

La chitarra (Rocco Arienti) sfoggia riff convincenti, le bassline (Roberto Galli) sono meravigliosamente sospese tra il punk e l’hard rock e la batteria (Beniamino Cefalù) spiazza in continuazione con i suoi cambi di tempo e intensità. La voce di Caldirola, infine, è la ciliegina sulla torta, incazzato al punto giusto ma con un cantato sempre nitido e pulito.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni