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Tanya Tagaq – Tongues

2022 - Six Shooter Records
inuit throat singing / noise / industrial / dub

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Tracklist

1. In Me
2. Tongues
3. Colonizer
4. Teeth Agape
5. Birth
6. I Forgive Me
7. Nuclear
8. Do Not Fear Love
9. Earth Monster
10. Colonizer (Tundra Mix)


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Imbattersi in Tanya Tagaq nei primi anni del Nuovo Millennio fu semplice: “Medúlla”, forse il mio album preferito di Björk, conteneva l’immenso talento della cantante di Cambridge Bay, Nunavut, e lì venni a conoscenza del “canto gutturale” inuit, o inuit throat singing. Spaventoso fu scavare a fondo in questa pratica e affascinante scoprire, quattro anni dopo, che la Ipecac Recordings di Mike Patton (d’altronde c’era anche lui su “Medúlla”) avrebbe fatto uscire l’album “Auk/Blood”, secondo della discografia di Tagaq.

Ritrovarla, per di più in compagnia di due pesi massimi come Saul Williams e Gonjasufi ha un valore quasi eccezionale, così come lo ha il fatto che il suo nuovo lavoro si intitoli “Tongues”, perché è questo il valore aggiunto, l’idea di “lingua” nella sua accezione fisica che ben presto si traduce in identità, un’identità specifica e una libertà di espressione e di consapevolezza delle proprie radici (temi cari sia a Williams che ad Ecks) a cui ci si lega quando il mondo dimostra di volerle recidere o peggio, demonizzarle quando non sono capite, nel terrore di minoranze etniche che dovrebbero avere lo stesso valore di qualunque altra etnia, vengano semplicemente assorbite, non per amor d’uguaglianza, bensì per necessità di annientamento. Ma non è nel “dominio” che risiede la libertà, tantomeno in quell’anelito alla neutralizzazione tipico della cultura occidentale.

Voce e temi si abbracciano in un turbine di puro terrore lirico, tramutandosi in un’arma tremendamente efficace. La rabbia che Tanya sa sfoderare si traduce in grida che deragliano scontrandosi con estrema durezza percussiva (eccellente il lavoro alla batteria di Jean Martin) in brani feroci come Colonizer (riproposta in chiusura di album in un mix ancor più maledetto) che pare impazzire per partire all’attacco dell’usurpatore, che viene avvisato nella morbida cupezza synthetica di Teeth Agape di quale sarà il suo destino se tenterà un colpo di testa che possa danneggiare una protettrice. Preservare la lingua da un dio imposto, stringere la cultura tra le labbra e sputare fuori veleno, la title track è abissale elettricità, frasi ripetute in un loop (dis)umano come a volerle incidere a fuoco nella mente.

Non è solo all’esterno che si consuma la lotta, I Forgive Me è lì per ricordare la difficoltà dell’accettazione del dolore autoimposto e acuito dall’ambiente in cui si cresce/vive con la voce a librarsi su ritmi hip hop spezzati e slabbrati, un violino irriconoscibile nel suo essere melodia sfuggente. Do Not Fear Love è annientamento dub, le parole dipingono un quadro di consciousness, un crescendo da cui nasce l’avvertimento, legato al doppio filo all’alienante In Me. Non tutto è perduto e infatti Earth Monster è celebrazione di nuove vite che nascono nel buio per illuminare, delicatezza in sussurri elettronici fino a perdersi via.

Tongues” potrebbe lasciare un segno in un momento storico in cui è necessario farlo perché la tensione umana a dimenticare è sempre più rumorosa e se la musica può essere utile (e deve esserlo) è giusto che faccia altrettanto rumore.

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