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Back In Time

Il canto del cigno, “The Great Annihilator” degli Swans

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Ricordo un preistorico quiz su Facebook, una specie di test, ancora se ne vede qualcuno, e faceva tipo: “Quale cantante hardcore sei?”, una pacchianata allucinante. Ricordo di averlo tentato più volte (ero giovane, ingenuo), per scoprire i vari tipi proposti, e c’era GG Allin, un improbabile Trent Reznor, ma anche Darby Crash e Michael Gira. All’epoca suonavo in una band che aveva scelto come numi tutelari i Joy Division, i Cure, i Throbbing Gristle, i Sonic Youth, Glenn Branca, e in macchina, andando e tornando dalla sala prove, per strade deserte, per incubi profondissimi, nel buio assoluto della provincia delle province, ascoltavamo Gira come un demone sussurrarci: I’m a coward, put your knife in me.

Gli Swans sono spaventosi, letteralmente, ti tolgono tutto, ti fanno sudare freddo, ti senti vittima e carnefice allo stesso tempo, un piacere francamente masochistico. Cigni maledetti, mostruosi, maliziosi, maligni, sono uno studio sulle metamorfosi. Nel 1983, quando la rivista Melody Maker li ha soprannominati “una forma profondamente ripugnante di pornografia audio”, era un complimento. Cacofonica, conflittuale e inesorabilmente rumorosa, sproloqui vocali e distorsioni che ti fanno scricchiolare le ossa, in un dolore sonoro senza precedenti. Una danza senza melodie, un’agonia di ripetizioni corrosive e degradanti, un loop di tessuto cicatriziale sonoro, una macina che ti stritola. 

Negli anni gli Swans – proprio come quei sogni lucidi che fagocitano tutto lo scibile e mutano forma divenendo sempre più compositi, complessi, inafferrabili e per questo terribili – album dopo album, hanno mortificato tutta una gamma di generi musicali. The Great Annihilator“, il loro dodicesimo album, William Rieflin dei Ministry alla batteria, documenta di una fase della band capace di indossare il pop, il country, il lounge senza scontrarsi con la malevolenza dello spirito del gruppo. Preso da solo, quest’album è un vivido esempio di come combinare dissonanza e dolcezza pur mantenendo il suo lato pericoloso. Visto nel contesto del loro viaggio, da pornografia a romanticismo e ritorno, “The Great Annihilator” funge da apoteosi epica.

Quando Gira dice “I love everyone”, sappiamo esattamente cosa intende (non lo fa). Le sue parole sono espulsioni di paura e rabbia che assumono un tono sarcastico e amaro, come nelle prime battute di She Lives!: «Now I just want to thank you for going insane; every second that you suffer is a loss that I gain.». Mother/Father potrebbe quasi essere un successo da club dark-fetish, con un ritmo ballabile ed eccentrico, la voce intrecciata e le urla di Jarboe, lo splendore sonoro delle chitarre ammassate. She Lives! evoca immagini di follia e martirio, mentre Celebrity Lifestyle getta le basi per uno sguardo tagliente ai sogni materiali: «She’s just a drug addiction/ And a self-reflecting image of a narcoticized mind». È Warm a costituire il centro tematico dell’album, traboccante di loop vocali eterei, pianoforti e tamburi che picchiettano come gocce di pioggia attraverso il paesaggio lirico.

A Michael Gira mancavano solo due anni per staccare la spina agli Swans quando pubblica “The Great Annihilator nel 1995. “Swans Are Dead“, come recita il loro ultimo album, Gira e Jarboe pongono fine alla loro storia sentimentale e musicale, l’ultimo canto del cigno.

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