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“The Night”, l’ultima notte dei Morphine

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La magia della musica dei Morphine arrivò così, all’improvviso, come un’abbagliante rivelazione, misteriosa come il buio, oscura come un presagio, una nuvola di fumo blue con dentro la notte e l’ignoto. Alla stessa maniera, così, all’improvviso, un’ombra cattiva scese su Palestrina (un centinaio di chilometri da Roma) dove i Morphine stavano suonando all’interno della rassegna “Nel Nome Del Rock”, e si portò via per sempre Mark Sandman, l’uomo che dava la voce ad una della band più originali degli anni novanta.

I Morphine pescarono inizialmente nelle falde inesauribili del blues e del jazz per impastare la materia di un low rock al cui servizio misero giusto una batteria (all’inizio Jerome Deupree, poi Billy Conway) , il sax (baritono, ma talvolta tenore), un basso elettrico senza tasti a due corde e il canto da crooner fatalista di Sandman. L’arte dell’essenza, la poetica dell’essenziale, un minimalismo denso e avventurosamente connotato: “Good“, il primo album, era una tormentata odissea tra poesia beat, blues e be bop, e conteneva già la polpa del suono dei tre di Boston: le sfumature e i dettagli sarebbero arrivati dopo, con la stordente doppietta “Cure For Pain” e “Yes“, uguali ma diversi, in ogni caso complementari, col secondo che alle scenografie torbide e noir del precedente aggiungeva swing e carnalità.

Un blend di cenere e fango, i marciapiedi bagnati dagli idranti di Taxi Driver e le mille Lucky Strike di Tom Waits, Jack Kerouac e Raymond Chandler, Nick Cave e i Lounge Lizards, il Minton’s Playhouse, il post punk e la new wave. Il sex ‘n’roll dei Morphine era ora una sinfonia malata che sembrava rimbombare dal fondo di una caverna, con il basso di Sandman e il sax ( talvolta due, suonati assieme) di Dana Colley a rimbalzarsi gli assoli, e una voce di velluto a celebrare un rituale salvifico sull’altare di una lucida follia: perché, come poteva altrimenti definirsi l’idea di un power trio senza chitarre? Mark Sandman, che nelle vite precedenti era stato marinaio e tassista e che a pochi centimetri dal cuore portava i segni di una rapina, aveva aggiunto una nuova provincia ai domini del rock inventatosi il suono più inclassificabile della storia e allo stesso tempo il più riconoscibile.

I Morphine furono da subito la band meno imitata del pianeta, semplicemente perché nessuno poteva imitarli. La generazione X si ritrovò nelle orecchie una musica inedita e affascinante, e quelli che vollero approfondire scoprirono la meraviglia delle vecchie incisioni di Chet Baker e John Coltrane, così come i fan di Beck andarono a cercarsi i vinili di Lead Belly e Mississippi John Hurt. Intanto, i Morphine erano i signori della notte e il passo successivo, “Like Swimming“, era il riassunto in bella calligrafia delle puntate precedenti, un ripasso veloce prima di  aprire le pagine di un nuovo capitolo.

Quello finale, perché “The Night” venne completato poco prima dell’ultimo spettacolo e messo in circolazione qualche mese dopo. Quasi abdicando al teorema del less is more, The Night” aggiunse arrangiamenti, strumenti e suggestioni ad un suono che rischiava ormai di imitare se stesso: le ombre s’allungavano sulle canzoni, che le toccavano e se nutrivano, e ne venne fuori un disco oscuro, introspettivo, uno strisciante rhythm and blues urbano pieno di bellezza e mistero. La notte dei Morphine era compagna e tiranna, rifugio e perdizione. Raffinate ninne nanne per adulti, dense di turbata sensualità anche quando il sax di Dana Colley s’abbandonava alla malinconia (la title-track, bellissima, col violoncello di Jane Scarpantoni). So Many Ways swingava al ritmo di un organo jazz e percussioni eccitate, Souvenir e Like A Mirror erano funerali senza lacrime, Take Me With You era un po’ preghiera e un po’ presentimento e Rope On Fire era la specialità esotica della casa.

In “The Night” l’uomo precedeva l’artista e l’andamento magmatico à la Stones di A Good Woman Is Hard To Find e la beck-iana Top Floor, Bottom Buzzer parevano il tentativo di aprirsi un varco in mezzo all’oscurità e alla solitudine: Mark Sandman spediva cartoline dalla notte e i segnali che mandava appartenevano al futuro. Se “Yes” era electric super sex, “The Night” era la sigaretta che seguiva l’amplesso. Nonostante il dispiegamento di archi, fiati, piano e cori gospel, l’ultima notte dei Morphine fu anche la più cupa, e quelle di Mark Sandman sembravano le preghiere di un ex giocatore d’azzardo non troppo sicuro del perdono.

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