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Interviste

Mephisto è di nuovo tra noi: intervista a Gianni Maroccolo e Antonio Aiazzi

Foto: Cesare Dagliana

Uscito lo scorso novembre su ContempoMephisto Ballad” (qui la nostra recensione) è l’ultimo lavoro collaborativo di Gianni Maroccolo e Antonio Aiazzi con la collaborazione di Giancarlo Cauteruccio, riproposizione su disco di un evento teatrale ideato dal giornalista Bruno Casini che ebbe luogo in occasione del carnevale del 1982 e il cui clou fu proprio un concerto degli allora misconosciuti Litfiba. Un lavoro che fa la fotografia di come quarant’anni fa nacque un fenomeno eterno del rock nostrano e la mandano in orbita, in un immaginario spazio interstellare in cui quelle immagini saranno rese indissolubili. Abbiamo avuto l’onore di scambiare qualche impressione con i due autori.

Torniamo indietro nel tempo, carnevale 1982 alla Casa del Popolo di Rifredi. Una festa culturalmente paragonabile al concerto del 1976 al Lesser Free Trade Hall di Manchester. Voi siete stati una via di mezzo tra i Buzzcocks e i Sex Pistols. Come siete venuti in contatto con Bruno Casini e come nacque l’idea di Mephisto festa?

Antonio Aiazzi: Bruno era l’organizzatore di eventi più in voga a Firenze in quel periodo e anche un mio caro amico. Seguiva anche la programmazione del Casablanca, la costola OFF del teatro di Rifredi. Oltre numerose attività culturali per l’Arci. Bruno ci propose la Mephisto Festa e noi ci andammo a nozze, era un periodo dove la creatività Litfiba afferrava qualsiasi cosa le passasse davanti. Dalle performance, alle colonne sonore, oltre alla musica composta come Litfiba. La performance Mephisto Festa iniziò con Piero dentro una bara che attraversava la platea trasportata da un gruppo di amici sul palco. Noi eravamo già sopra e facevamo del nostro meglio fra musica distorta, atonale e ripetitiva e poi Ghigo iniziavano delle note, un tema che diventerà la melodia di efs44.il tutto in mezzo ad una montagna di fumo e strobo.

Gianni Maroccolo: Non ho mai amato le definizioni e le categorie. Lo dico con tutta l’ umiltà possibile, non mi sento di avere fatto parte di una band simile ai Buzzcocks o ai Sex Pistols. Gruppi che personalmente non ho mai amato molto. I Litfiba erano i Litfiba. Nel bene e nel male, unici e poco assimilabili ad altri. Bruno da un pò di tempo di tempo ci aiutava e supportava e ci propose una performance/concerto per il Carnevale dell’ 82. Noi pensammo di creare un piccolo evento ispirato da quelle che erano le nostre letture e i film di quel periodo.

Il Faust di Goethe è una delle opere letterarie più importanti di tutti i tempi, a spanne avrò contato una quindicina di film ad esso dedicati o semplicemente ispirati. Cosa vi attraeva di quell’opera e perché decideste di metterla in musica?

AA: Ci siamo staccati molto dalla drammaturgia del Faust di Goethe. Eravamo nel mezzo al periodo Dark. C’era un culto/moda e una cultura che andava in quella direzione. Anche filmograficamente, era il momento dei cinema d’essai dove passava il cinema sperimentale, spesso in bianco e nero, i primi Lync etc etc . Ma forse la Mephisto Festa ricordava più Baron Samedi, per quello che mi ricordo.

GM: All’epoca non decidemmo di musicare il Faust, ma di comporre un pezzo “infernale” che sonorizzasse la performance teatrale di Piero; EFS44 appunto.

Detto dell’importanza di Bruno Casini nel progetto originale, una menzione d’onore va spesa per Giancarlo Cauteruccio, anche lui amico di vecchia data. Com’è cambiato il vostro modo di lavorare insieme rispetto ai tempi dell’Eneide di Krypton?

AA: Devo dire che la parte creativa artistica che Giancarlo esprime in qualsiasi suo lavoro è sempre molto interessane ed uno stimolo lavorarci insieme. Ogni volta che ci incontriamo si crea una fantastica circolazione di idee e progetti.

GM: Personalmente devo molto a Giancarlo. E’ stato lui darmi la possibilità di scoprire universi creativi a me sconosciuti nei primi 80. A parte la bellissima esperienza della colonna sonora di Eneide, attraverso le nostre collaborazioni e non solo, mi ha fatto conoscere il teatro sperimentale e di avanguardia, l’ arte performativa, la commistione di discipline e linguaggi diversi tra loro. Un Maestro d’ Arte come pochi.

A distanza di 4 decenni, “Mephisto Ballad” non suona come un album di ricordi, ma come una capsula del tempo riportata ai giorni nostri e pronta a viaggiare nel futuro. Perché riprendere proprio quell’esibizione e non (ad esempio) il primo EP, nato qualche mese dopo?

AA: Mephisto Ballad, nasce quasi per caso. Sempre Bruno Casini nell’Ottobre 2020 ci propone un evento per Dicembre 2020 su gli anni ’80. Abbiamo proposto un live in streaming e pensando che eravamo in duo strumentale, la scelta è caduta su efs44, rivisitando la versione della Mephisto Festa. Poi se ci veniva qualcosa in più ….. Non ci facciamo mai troppe domande sul perché e sul percome. Il brano ha preso la sua nuova dimensione, con un pianoforte che guida, meravigliosamente arrangiata da Gianni nella successione delle parti. Poi abbiamo iniziato a buttar fuori un sacco di materiale nuovo, a cascata. Ma erano tutte idee nuove. In due mesi avevamo un disco e abbiamo avuto difficolta a scegliere i brani da escludere. Alcuni frammenti di brani esclusi sono finiti nel cortometraggio di Flavio Ferri che proiettiamo prima di ogni concerto Mephisto Balla.

GM: Io e Antonio abbiamo sempre creato musica strumentale e quando ci siamo resi conto che in tutti questi anni non avevamo mai fatto un disco tutto nostro non abbiamo avuto dubbi che fosse giunto il momento e che questo album dovesse essere la fotografia di come siamo ora: due musicisti che non cantano. Di conseguenza la scelta di dedicare un brano ai nostri anni 80 con i Litfiba è stata obbligata. Dovevamo pescare dal nostro repertorio meno noto e strumentale.

In un’intervista avete dichiarato di essere indipendenti e di essere attratti dall’idea di lavorare con etichette che operano in quel modo. Secondo voi a che punto è lo stato dell’arte “indie” in Italia? L’inevitabile osmosi con il mainstream ha un po’ imborghesito tutto il movimento oppure esistono ancora isole felici?

AA: A questa domanda non so rispondere con grande cognizione di causa. ho attualmente una conoscenza limitata degli ultimi anni del mondo Indie. Credo che si stia affermando sempre di più una forma cantautorale moderna, comunque interessante. Piuttosto che un “alternativismo” a tutti i costi, tipico delle prime Indie. La musica si trasforma e cambia sempre.

GM: Non mi sono mai sentito parte di nessun movimento. Ho scelto di vivere nel modo più indipendente possibile musica e vita, e di non dipendere da nessuno. Da anni collaboro con etichette indipendenti e non, ma i miei dischi li produco personalmente. Ed è stato così anche per Mephisto Ballad che abbiamo prodotto io e Antonio e che poi abbiamo fatto distribuire alla Contempo. Non sono in grado di dare un’ opinione sullo stato della musica di questo periodo. Mi limito a dire che possono cambiare i tempi, i mezzi e i supporti con cui circola la musica, le modalità di diffonderla, ma nella sostanza non sarò mai uno di quelli che dice che si stava meglio prima. La vita va avanti, la musica, di conseguenza, pure.

Foto: Cesare Dagliana

Siete sempre stati e vi siete sempre sentiti liberi. Liberi nella scrittura, nella composizione, nell’esibizione al pubblico delle vostre idee, con i Litfiba e oltre. In un momento storico in cui il concetto di libertà è interpretato da ciascun essere umano un po’ a modo suo, rispetto al periodo in cui avete iniziato a suonare insieme com’è cambiato il valore che si dà a questa parola?

AA: La libertà musicale con i Litfiba è sempre stato un concetto chiaro: se l’abbiamo composta è nostra. Quindi la riconoscevamo. Se poi alla fine il brano faceva schifo veniva eliminato. Ma non ci siamo mai fatto delle domande se un brano era o no adatto alla nostra carriera, o se sembrava qualcosa di diverso dalla nostra linea. Come dimostrano la quantità di brani decisamente eterogenei che abbiamo composto negli anni. Le cose erano molto chiare. Oggi forse delle parole lapidarie come “Liberta”, hanno delle visioni diverse fra gli individui. Sicuramente il disorientamento sociale che questi due anni di pandemia ha provocato, ha ingigantito ancora di più questa distanza. Ci vorrà del tempo per ritrovare un bilanciamento e sicuramente non sarà proprio lo stesso di prima.

GM: Rispondo citando Ferretti: la libertà è una forma di disciplina. E anche Gaber: Libertà è partecipazione.

Ho letto una bella riflessione di un critico musicale di primo piano, nella quale dice che in un mercato musicale dominato dai formati digitali e dai prodotti “liquidi” (streaming, vendite di singoli pezzi, otto singoli su un disco di 10 brani) non ha più molto senso parlare di disco, tanto meno introdurre il concetto di album. Voi vi sentite in controtendenza rispetto all’andamento del mercato oppure puntate sull’eterogeneità della domanda di appassionati di musica?

AA: Io continuo a pensare ad un’opera musicale come un concept, una storia. Non ad una sequenza di brani in fila. Capisco invece un brano singolo, ovvero il “singolo”. Forse è una visione antica. Ma trovo maggiori soddisfazioni quando ho voglia di sentire musica, di ascoltarmi dei dischi che rappresentano questo tipo di narrazione. E continuo a chiamarlo disco.

GM: Nel mondo si suona e si produce musica da sempre. Il mercato e i media ci indirizzano a consumare quel 5/10 % che provano ad imporci. La bellezza, spesso, la trovi ricercando nel restante 90%. E poco importa se sia musica sotto forma di “singoli”, live, album. quelle poi diventano scelte personali. Non disdegno a priori nessuna soluzione e mi sento libero di utilizzare la forma espressiva che ritengo più coerente al progetto in cui sono coinvolto.

La domanda, anzi le (due) domande sui talent non posso non farvele. Come hanno cambiato il mondo della musica, inteso sia come industria che come modo di viverla da parte degli appassionati? E ancora: il vostro amico Piero Pelù a un certo punto ha deciso di vivere un’esperienza da giudice / coach, ha fatto bene secondo voi?

AA: I talent sono il principale canale promozionale per farsi conoscere. È la realtà, e l’industria si è velocemente adeguata. Io quando li guardo, la cosa che noto è la grande preparazione tecnica di questi ragazzini ( rispetto a quando eravamo noi ragazzini ) che si mettono in gioco nel grande meccanismo. Si, c’è il rischio di venire stritolati, ma non c’è molta alternativa. Piero? Perché no? È sempre un’ esperienza.

GM: I talent fanno parte del nostro presente. Spariranno così come sparirono i Cantagiro, i dischi per l’ estate, i castrocaro, i festivalbar etc…. Niente è per sempre. Riguardo Piero che dire… rispetto le sue scelte professionali e non sta certo a me giudicare le sue scelte nè quelle di altri.

In una band come i Litfiba soggiornavano diverse anime. Quale lato impersonate voi due e quale Piero e Ghigo?

AA: Difficile definire l’anima di ognuno. Siamo sempre stati molto diversi. Ci univa la musica e la potenzialità produttiva quando componevamo. Molto, molto lavoro e dei ruoli ben definiti e consapevolezza su chi era più bravo a fare cosa.

GM: I Litfiba che ho vissuto io negli anni 80 erano un gruppo. Le diverse anime erano un’ unica anima. Un’ alchimia meravigliosa che è durata per quasi dieci anni.

Leggendo in giro le vostre interviste mi sono accorto che abbiamo in comune una cosa: detestiamo le etichette di genere. Personalmente parto dai movimenti culturali, quelli importanti, dai quali prima o poi scaturiscono fenomeni significativi anche dal punto di vista artistico (non solo musicale). A proposito di movimenti culturali, da napoletano ho spesso incrociato volti e arte del cosiddetto neapolitan power, anche detto Naples sound. Parallelamente, anche nella vostra Firenze stava accadendo qualcosa: che aria si respirava?

AA: Fiumi di inchiostro sono stati scritti sulla Firenze degli anni ’80. E’ stato un momento veramente magico e difficile da ripetersi. In Italia c’erano effettivamente delle zone dove nascevano tendenze e gruppi creativi, anche aldilà della musica. Ma per far si che succeda, servono degli ingredienti iniziali che oggi non so come possano di nuovo miscelarsi insieme.

GM: Un respiro ormai lontano. Di fermento certo, di aspettative, di grande energia. Durato un respiro appunto. Un respiro che per fortuna è stato anche mio e che ha condizionato non poco la mia vita. Ma vivo il presente, il qui e ora. Guardarsi indietro ogni tanto fa piacere, ma non amo farlo spesso. Così come non ho aspettative per il domani.

In conclusione, Piero e Ghigo hanno annunciato l’ultimo tour dei Litfiba. Avete impegni dal 26 aprile al 25 maggio?

AA: Si, per adesso abbiamo dei concerti di Mephisto Ballad.

GM: Se vuoi sapere se ci sarò beh, direi di no. Ma con amore, affetto ed eterna riconoscenza Lunga Vita ai Litfiba e Buon 40+2. Di cuore.

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